X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

di LIDIA PICCOLI
Se stoicamente ci sentissimo cittadini del mondo non avremmo motivo di perlustrare la storia per rimuovere da essa periodi che le hanno dato lustro. Così come quel vasto moto risorgimentale dal quale prese l’avvio la nostra Unità. Facezie, direbbero i nordisti. Anzi, no, lo dicono. Il dibattito si consuma tra l’Italia che vuole ritornare ai padri federalisti e l’Italia che vuole come suo centro unificatore Roma. Quella “ladrona”, per dirla con Bossi. Se prima era la secessione ora è il federalismo che viene posto in luce. Ammiccante proposta per chi vuole liberarsi dal “parassitismo” meridionale in maniera più sobria. La Lega ha le idee chiare, lo dimostrano le varie pagine di Facebook dove incalzano accuse dal chiaro sapore xenofobo. L’Italia che fu fatta non fece gli italiani, sarà rammarico per D’Azeglio ma i fatti di oggi ci inducono a constatare ciò. Quel Risorgimento fu un fatto troppo elitario per essere condiviso da un popolo quasi assente. «Il processo di unificazione politica della penisola, come frutto di una possente e un’animistica spinta di popolo è un mito postumo. un tentativo dei ceti colti di operare finalmente una sutura con i ceti subalterni, imponendo loro la propria egemonia politica», diranno con ciglio sottile alcune pagine di critica storica. E mentre le élite che facevano la storia pur rimanendo divise tra regime monarchico o repubblicano, stato unitario o federativo, metodi diplomatici o rivoluzionari si trovavano unite nel progetto d’indipendenza politica, milioni di contadini rimanevano nella non storia. Anzi, entravano a pieno titolo nella storia battendosi proprio contro l’unità ormai raggiunta. Lotta che diede l’avvio a quel brigantaggio ricordato come “rivolta plebea”, “insurrezione di cafoni analfabeti che sognavano solo la spartizione delle terre e non l’unità d’Italia”. Se sfogliare l’interpretazione ci aiuta a percepire malesseri e mistificazioni, nonché vicissitudini poco ravvisabili in un manualistico excursus degli eventi, ciò non toglie che la Penisola, nella sua interezza, ha oggi un’eredità grande da difendere. Quella di uno Stato che non può e non deve rinnegare se stesso. Che non può e non deve scendere in diatribe revisioniste, tra coloro che fanno di Cavour l’ideatore di un regno tutto proteso a unificare il Nord e di Garibaldi il ribelle e non il rivoluzionario, l’antieroe che fece confluire in tale progetto, la parte povera e ignorante della penisola dopo averla liberata dai Borboni. Se l’unità fu frutto del caso, di accordi che si dissociavano da quelli siglati a Plombières, ciò non toglie che l’Italia era nata. Come unità territoriale e politica, sebbene diverse fossero le intenzioni. E se ancora oggi le nostre piazze conservano nelle statue di Mazzini, Garibaldi, Cavour la memoria di un Risorgimento vituperato e maltrattato da chi, padano, non ravvede nelle “Cinque giornate” la prima vera rivolta di un popolo afflitto dallo straniero, ciò non toglie che quella liberazione avvenne e fu decisiva per le sorti del futuro Regno. Spostare il dibattito sull’annessione plebiscitaria, dire che essa fu manovrata e falsata, è ciò di cui si fan forti i leghisti. “Risorgimento da riscrivere”, dunque. Come vuole la storica cattolica Angela Pellicciari, specializzata in letture sull’unità, che descrive il Risorgimento come una “guerra di religione” anticattolica, messa in atto da un’alleanza massonica-liberale. Sebbene la documentazione della studiosa sia difficilmente contestabile nei dettagli mostrati, come gli storici sostengono, ciò non toglie, a parere degli stessi, che l’immagine troppo univoca che ne vien fuori apra a ulteriori dibattiti. Soprattutto se si pensa che lo stesso Cavaliere di Arcore ha trovato nell’anti-Risorgimento proposto dalla Pellizzari, una lettura consona “per correggere ciò che è stato scritto erroneamente”. O meglio, per dirla a modo nostro , per detronizzare i vecchi detentori di un potere, quello Sabaudo. Chiedersi cosa ne pensi Fini di questa provocazione tutta berlusconiana sul Risorgimento è cosa lecita, per lui la Nazione dovrebbe essere ancora concetto forte. La perplessità si accentua se puntiamo lo sguardo verso il Belusconi difensore dell’altra visione del Risorgimento , quella di matrice cavouriana-mazziniana-garibaldina che oggi si trova a sponsorizzare l’opera di un’importante storica che la demolisce. E ci viene da ridere per non piangere, se pensiamo alle parole di Franco Cardini: “Se Berlusconi l’ha suggerito vuol dire che non l’ha mai letto”. Sarà. Tra le tante gaffe, concediamogli anche questa. In fondo siglare l’amicizia con la Lega non è cosa da niente. O da poco. Fini sembra essersi tacitato, il Nazionalismo è vecchio di storia come il Fascismo che su di esso poggiava. I propositi sono altri , una pacificazione su tutti i fronti a lui vicini, in nome di una battaglia portatrice di ”amore” . Sicuramente sotto il suo scettro. Del resto Goffredo Mameli scriveva: “Noi siamo da secoli calpesti, derisi perché non siam Popolo, perché siam divisi”.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE