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Operazione di carabinieri e polizia nel reggino per l’esecuzione di 26 ordinanze di custodia cautelare in carcere, nei confronti di altrettante persone accusate di fare parte della cosca Rodà-Casile, operante nei territori dei comuni di Condofuri e San Lorenzo e che avrebbe cercato anche di condizionare le decisioni dell’Amministrazione comunale di Condofuri in carica dal 2004 al 2009.
Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni, violenza e minaccia a pubblico ufficiale. Secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate dalla Dda reggina, la cosca Rodà-Casile aveva una vera e propria strategia di controllo del territorio finalizzata all’imposizione del racket a danno degli operatori economici del comprensorio, all’aggressione degli appalti pubblici promossi dal Comune di Condofuri, al traffico di armi e munizioni, al condizionamento dell’Amministrazione comunale.
In manette è finito anche un assessore del Comune di Condofuri. Si tratta di Filippo Rodà, (nel riquadro) assessore ai Lavori pubblici. Le indagini avrebbero accertato l’ingerenza della ‘ndrangheta anche nelle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009. In particolare gli investigatori, secondo quanto si è appreso, avrebbero accertato che la cosca era riuscita non solo ad inserire la candidatura di un ‘proprio uomo’ ma anche a fargli raccogliere un tale numero di preferenze da farlo risultare primo degli eletti. Un risultato che ha poi indotto il sindaco, che risulta estraneo all’inchiesta, a nominare Rodà assessore ai Lavori pubblici.
In carcere sono finiti Antonino, Filippo e Giovanni Altomonte; Domenico Caridi; Francesco Ollio; Filippo, Daniele e Pietro Poerio; Ernesto Pontari; Leo Romeo; Vincenzo Stilo; Giuseppe Vitale. Ed ancora: Francesco Bruzzese, Carmelo Manti, Concetto Candido, Lorenzo Fascì, Maurizio Iaria, Filippo Rodà, Domenico Foti e Pietro Miceli.
Il dirigente della squadra mobile, Renato Cortese, ha spiegato che la «struttura mafiosa era articolata su due livelli: la cosidetta ‘maggiore’, ai cui vertici operavano Concetto Candido e Francesco Bruzzese, e la ‘minore’, organizzazione sottostante e composta soprattutto da giovani affiliati».
Tra gli arrestati c’è anche il produttore di proiettili della cosca, Domenico Caridi, che usava provare l’efficacia delle cartucce sui cartelli e sulla segnaletica stradale.

Le indagini
Gli esiti delle indagini hanno documentato la divisione di due “sottoinsiemi mafiosi” (l’esistenza delle due parti di una stessa struttura mafiosa verticistica) e dato conto di come la cosca fosse in grado, avvalendosi dei propri affiliati, di svolgere a proprio favore attività di proselitismo tra i giovani “degni del battesimo” (in possesso, cioè, dei requisiti necessari per accedere allasocietà ‘ndranghetistica), stabilire ed impartire le cariche, indicandone i compiti, ma anche capace di organizzarsi sul territorio in modo da esercitare sullo stesso un controllo anche fisico, di presidio del territorio, necessità impostasi per scongiurare o, alla bisogna, contrastare sgradite influenze di estranei al territorio.
Uno degli affiliati, in una intercettazione ambientale a bordo di un’autovettura, commentando le determinazioni della cosca in tema di presidio della “loro zona” avrebbe esternato delle perplessità sulla qualità della pianificazione dei servizi di ronda, sostenendo che pochi erano gli affiliati che si prestavano a tale attività e che la cosca avrebbe dovuto investire maggiori risorse umane nel particolare settore, rievocando, quasi romanticamente, i tempi passati quando la cosca “c’era e si vedeva”.

Il fascino dell’appartenenza alla cosca
Dalle indagini si è arrivati a constatare anche il particolare fascino che l’appartenere alla cosca viene esercitato sui giovani aspiranti ed il conseguente scoramento nell’apprendere che uno di loro non avrebbe potuto entrare a farvi parte; a tal proposito un membro della società maggiore, dotato del potere di veto nell’ambito della stessa, si sarebbe espresso sfavorevolmente a riguardo della possibilità di concedere il battesimo (o “taglio della coda”) ad un aspirante “picciotto” poiché reo di avere un passato nel Corpo delle Capitanerie di Porto: “uno che va nella capitaneria e firma per due anni, quando si congeda automaticamente lo devono graduare, diventa sergente o caporale…i gradi solo nella ‘ndrangheta ci sono…”.
La cosa mafiosa si avvaleva, inoltre, della disponibilità di armi (anche da guerra, armi automatiche capaci di sparare a raffica “…partono quaranta botte alla volta…”) e munizioni, come verificato constatando i danneggiamenti dei segnali stradali che si sono susseguiti nel tempo, compiuti dagli affiliati a titolo di esercitazione a fuoco.
In relazione alle munizioni è stato anche individuato colui che svolgeva il ruolo di produttore/fornitore di munizionamento. Si tratta di un soggetto di Condofuri che, in possesso di attrezzature adeguate e materia prima necessaria alla costruzione si adoperava al servizio della cosca per fornire munizionamento nel calibro e quantità di volta in volta commissionati.

Le estorsioni
Importante anche la pressione che il sodalizio imponeva attraverso il racket delle estorsioni sugli esercenti del commercio della zona ma anche e più pesantemente sulle ditte di movimento terra, trasformazione di inerti e lavorazione dei calcestruzzi presenti sul territorio lungo il corso della fiumara Amendolea. In questo settore la cosca era capace di “mandare messaggi eloquenti” agli estorti attraverso danneggiamenti, colloqui intimidatori ed altri atti di chiara matrice estorsiva, tutte attività finalizzate a rendere chiaro il potere della cosca sul territorio.
Gli accoliti parlano di “contributo” che le ditte della zona dovevano alla cosca, sottolineando anche la possibilità che in presenza di inadempienze sarebbe stata necessaria la reazione della consorteria “…fino ad ora gli abbiamo lasciato gli spazi. Oggi basta, chi viene deve dare il contributo…”.

L’influenza sulle decisioni comunali
L’associazione sgominata oggi, sarebbe stata in grado di influire sulle decisioni della precedente amministrazione comunale di Condofuri; si è appurato, infatti, come il potere intimidatorio del sodalizio avesse addirittura indotto l’amministrazione comunale allora in carica a non perfezionare l’iter di acquisizione al patrimonio dell’ente di una serie di beni, tra i quali uno di proprietà di un membro del sodalizio mafioso, sottratti agli interessati con sentenza definitiva per reati in materia di lottizzazione abusiva, adottando studiate strategie dilatorie per rimandare sine die le formalità.

L’influenza sulle liste elettorali
Ultimo aspetto delle indagini riguarda l’attività di organizzazione di una delle liste in lizza per le elezioni amministrative del 2009.
Sarebbe stata sponsorizzata dagli affiliati una candidatura in particolare, figura a loro dire “pulita” che non avrebbe attirato l’attenzione delle forze dell’ordine sul territorio; costui sarebbe stato eletto con un plebiscito di voti, risultando il primo eletto della lista e nominato, in seno all’attuale amministrazione comunale quale Assessore ai Lavori Pubblici.
L’attività in questo ambito avrebbe riguardato anche la canalizzazione delle preferenze sulla stessa, risultata poi vincente.

Al Comune di Condofuri, una commissione d’accesso per le infiltrazioni mafiose
Le possibili infiltrazioni della criminalità organizzata in seno all’attuale amministrazione comunale di Condofuri sono state portate all’attenzione della Prefettura di Reggio Calabria che ha proposto e ottenuto la nomina di una commissione d’accesso i cui lavori sono attualmente in corso.
Delle 14 persone colpite da OCCC, 11 sono state tratte in arresto: tre sono attivamente ricercate.

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