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di VINCENZO ZICCARELLI
Solitamente, quando viene meno un personaggio che ha lasciato un segno fra la gente, si dice che è scomparsa una figura eccezionale, che il nostro chiassoso, assordante, povero mondo è stato privato di una presenza inimitabile. Qualche volta si esagera. Ma non è espressione iperbolica questa, se usata per Raimondo Vianello. Da ieri, noi tutti siamo orfani senza rimedio di una voce, di uno stile, di un atteggiamento, non sostituibili. Raimondo Vianello è stato capace di farci ridere con le sue surreali eppure così naturali atmosfere, col mettere in risalto le nostre difficoltà a confrontarci, le nostre incomprensioni senza preconcetti, le nostre furbizie senza cattiveria. Ha operato per una umanità senza vincitori e senza vinti, ma alla fine livellata dalla sua condizione irrimediabile. Un sorriso bonario di comprensione per se stesso e per tutti gli altri. Egli, nella sua non breve vita (ma quando sta per finire, dicevano i nostri vecchi, è come un’affacciata a una finestra), ha passato in rassegna, con Ugo Tognazzi prima, con la moglie Sandra Mondaini poi, la condizione della coppia che convive contrastandosi, in una interminabile commedia delle parti mai scadente, in una satira senza offesa per i meno dotati e senza arroganze intellettuali. Anzi. Raimondo Vianello è stato per tutta la vita il comico senza volgarità. Non ha avuto bisogno del supporto della parolaccia, per suscitare la risata e l’applauso. E questa forse è una qualità che va scomparendo, o è addirittura morta con lui. Egli, facendoci ridere, saettando fasci di luce impietosa nei risvolti anche torbidi dei nostri pensieri e delle nostre azioni, ha cercato di dirci che la parolaccia gratuita non è roba da salotto o da comizio, ma rifugio squallido da fiera rionale. E ci ha voluto anche dire con tutto ciò che la parolaccia va rispettata, se vogliamo che conservi tutto il suo fascino demoniaco e perciò dissacratore. Mentre i comici dozzinali, che non sanno creare e rivelare stati d’animo e situazioni di autentica comicità, affidandosi ininterrottamente alla parola pesante finiscono per essere banalmente volgari. E così la commedia, la capacità di castigare ridendo i cattivi costumi, non potrà più manifestarsi col suo distacco e con la sua sprezzante carica, e il linguaggio dello spettacolo sarà paradossalmente privato ad un tempo della capacità di parlare senza sconcezze e dell’efficacia dirompente della parola dura, che quando ci vuole, e solo quando ci vuole, diventa accettabile. Addio a Raimondo, con tanto rammarico per la sua scomparsa e con la remota speranza che il suo esempio di signore dello spettacolo trovi ancora imitatori e prosecutori.

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