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di FRANCO DIONESALVI
Non tutte le civiltà considerano la pedofilia come una cosa infame. È noto che anche culture per molti versi illuminate, come quella dell’antica Grecia, in alcune classi sociali e a determinate condizioni ammettevano l’amore del maestro verso il fanciullo come cosa non riprovevole. Ebbene, che oggi la pedofilia sia considerata un reato, e anche fra i più sgradevoli, è una conquista della modernità, così come l’abolizione della schiavitù: perché, appunto, a fianco di brutte contraddizioni negli ultimi secoli abbiamo registrato delle conquiste sul piano etico, ed è bene rendercene conto e compiacercene. Anche perché, spesso, queste conquiste è necessario difenderle da pericolose regressioni collettive. Non bisogna dimenticare che in Olanda ha operato fino a pochi giorni fa un partito dei pedofili; che esiste un florido turismo internazionale nel segno della pedofilia; che i siti pedofili vivono in Internet una stagione di successo. Tutto ciò indica che il problema non va certo circoscritto alla chiesa o alle chiese. Ma è tuttavia evidente che, in questo ambito, assume particolare gravità e merita specifiche contromisure. Anche perché è vero che la messa al bando della pedofilia coincide col trionfo dello stato di diritto, e dunque del riconoscimento di diritti individuali inviolabili nonché di una speciale tutela pubblica per chi non è ancora in grado di manifestare compiutamente la sua volontà. Ma è anche vero che, molto tempo prima dell’illuminismo, le parole più terribili contro la pedofilia le ha pronunciate proprio Gesù. Ricorderete come Gesù riservò a chi scandalizza i bambini le frasi più crudeli che abbia mai pronunciato. Meglio per loro, disse, sarebbe legarsi una pietra al collo e buttarsi in mare. A me piace dare dello “scandalizzare i bambini” una lettura più ampia: credo vada letta come la colpa di tutti coloro che offendono l’innocenza, che tradiscono la fiducia, che sporcano il candore. Ed è un male ricorrente, che spesso si compie con efferata crudeltà anche nei confronti di chi non è di piccola età ma è bambino interiormente, e viene colpito spietatamente proprio approfittando del fatto che non oppone alcuno scudo, che si affida innocentemente a chi è pronto a colpirlo. Ma di quello scandalo fa sicuramente parte l’atteggiamento di chi, approfittando del fatto che un bambino gli viene affidato per finalità pedagogiche, approfitta vigliaccamente di lui. Insomma la chiesa cattolica ha delle particolari ragioni per aborrire questo crimine e per porre in essere ogni clamorosa pubblica azione per svergognarlo e stigmatizzarlo. Attenzione: non si tratta di innalzare nuovi roghi per i colpevoli, la misericordia e la volontà di redenzione va usata verso di loro come verso chiunque. Ma si tratta di non nascondere nulla, non coprire nulla, esigere l’assunzione di colpa e la richiesta di perdono, prima di concederlo; oltre che di provare, per quanto è possibile, a riparare. Proprio perché questo crimine si nutre di silenzi e di penombre, di vergogne e di tacite umiliazioni; proprio per questo è necessario passare per un lavacro pubblico, per un bagno di luce che lavi le ombre e le penombre. Purtroppo, invece, finora non è stato così: anzi, per decenni se non per secoli, la “ragion di stato” ha prevalso all’interno della chiesa cattolica, facendo ritenere il silenzio e l’occultamento della verità come azioni necessarie al mantenimento di determinati equilibri sociali e, diciamolo apertamente, di potere. Oggi i nodi vengono al pettine, e in maniera devastante. Può apparire paradossale che ciò accada proprio quando l’attuale Papa mostra di voler infrangere le antiche consuetudini, e perseguire il crimine di pedofilia fra i sacerdoti anche a costo di denunciarli all’autorità giudiziaria. Il fatto è che, da un lato le cose sono andate troppo avanti, e ormai si intravede il rischio concreto che l’oratorio si svuoti di bambini, perché la perdita di fiducia appare crescente e irrimediabile. Dall’altro, le reazioni della chiesa sono apparse confuse e contraddittorie. C’è un gridare al complotto, che è cosa in Italia così ricorrente e così legata a determinate vicende politiche, da deporre male. C’è un usare argomentazioni che appaiono peregrine e propagandistiche, come quella che vuol legare omosessualità e pedofilia. E, soprattutto, c’è la sensazione che a questa chiesa importino più i feti e gli embrioni che i bambini, più i comatosi in stato vegetativo che i disoccupati, più i morti che i viventi: che insomma l’ideologia e l’autoconservazione siano considerati più importanti dello spirito evangelico e dell’amore. Uscirne significa rendere tutto manifesto, ripristinare un livello di fiducia e di affidabilità che si misura sulla sua pubblicità, sulla sua trasparenza, sulla sua verificabilità. Qualcuno ha detto che, se cadesse l’obbligo del celibato per i preti, i casi di pedofilia calerebbero nettamente. A mio avviso è un altro il tabù il cui abbattimento potrebbe rappresentare un toccasana per la chiesa cattolica. Ed è quello che impedisce alle donne di diventare sacerdoti. La loro presenza all’interno delle sacrestie, ma anche all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, rappresenterebbe invece un serio deterrente verso questi peccati che si nutrono di silenzio, di complicità e di paura. È vero che sono presenti casi di pedofilia anche fra le donne, ma nelle percentuali fisiologiche proprie di ogni reato, e non in maniera così clamorosa e ricorrente. Perché le donne, che sanno essere madri, sanno come proteggere i bambini; non solo i loro, ma tutti i bambini. E sono pronte, se vedono che si consuma un sopruso contro un bambino, a urlare e svergognare il colpevole, senza alcuna soggezione per lo scranno del suo potere.

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