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di DON LUIGI CIOTTI*
Gli applausi al boss della ‘ndrangheta Giovanni Tegano, arrestato ieri a Reggio Calabria, amareggiano ma non devono scoraggiare. Lo ripetiamo da anni: l’ammirevole lavoro delle forze di polizia, dei magistrati, delle Prefetture, di gran parte delle istituzioni, è prezioso ma non risolutivo. Per sconfiggere le organizzazioni criminali occorre un impegno di più ampia portata, da cui nessuno deve ritenersi esente. Occorrono politiche sociali ed economiche, progetti culturali ed educativi. E’ necessario che una società nel suo insieme si metta in gioco, che la cultura del compromesso e del privilegio, base della cattiva pianta mafiosa, sia sostituita da quella del diritto e della corresponsabilità. E’ necessario ridurre le zone grigie delle complicità, le tante forme d’illegalità, di corruzione, di lavoro nero, che non vanno certo confusi con le mafie ma che le alimentano e fanno sì che siano percepite più forti dello Stato, come ci dice anche una recente ricerca condotta in alcune scuole superiori del nostro paese. Questa visione d’insieme dell’impegno nella lotta alla mafia era la scommessa e la preoccupazione di un grande educatore e conoscitore della ‘ndrangheta come don Italo Calabrò: «Il discorso della mafia – diceva don Italo – non può essere isolato da un fenomeno di corsa sfrenata dietro falsi valori». Ed è lo spirito di persone come don Italo che continua a vivere in tanti calabresi onesti e non rassegnati. Gli applausi al boss Tegano disgustano e fanno riflettere, ma non possono oscurare i volti della Calabria viva e positiva. Oggi eravamo in tanti a raccogliere i finocchi nelle terre confiscate del clan Arena, a Isola di Capo Rizzuto, per costruire, anche grazie al sostegno di un sindaco coraggioso, le basi di una nuova cooperativa sociale di Libera Terra. Come sono sessanta le associazioni che una settimana fa, dopo un anno di duro lavoro, hanno costituto “Reggio libera Reggio”, rete calabrese contro il pizzo. Meno chiassosi ma più esposti di chi batte le mani al boss arrestato, sono i tanti calabresi che le mani se le sporcano di terra e di responsabilità. Sono loro che vogliono bene alla Calabria, loro che auspicano per la Calabria non la pace dei mafiosi ma quella del lavoro, dei diritti, delle politiche sociali. Calabresi che non si aspettano né applausi né riconoscimenti perché hanno scelto la strada del “noi”, del realizzarsi insieme agli altri e per gli altri. Certo episodi come quello di oggi dimostrano che la strada da percorrere è ancora lunga. Che l’impegno e l’unità d’azione vanno ulteriormente rafforzati. Ma, quando è sostanziale, il cambiamento richiede sempre tempo, tenacia e corresponsabilità. Un altro grande calabrese, Corrado Alvaro, ha scritto che «la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile». C’è oggi una Calabria di associazioni e di chiese, di commercianti e imprenditori, di insegnanti ed educatori che quel dubbio – umano perché figlio della solitudine – ha deciso insieme di sconfiggerlo.

*Presidente di Libera

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