X
<
>

Condividi:
8 minuti per la lettura

ORA basta! Dinanzi alla lettera inviata dall’avvocato della famiglia Claps al Sommo Pontefice e affidata alle agenzie di stampa, come oggi usa quando ci si dedica al genere epistolare, un’altra famiglia, quella di don Mimì Sabia, è costretta ad uscire dal riserbo che in questi due mesi ha rigorosamente mantenuto perché acutamente consapevole del dolore immenso nel quale per diciassette lunghissimi, atroci anni hanno vissuto i genitori e i fratelli di Elisa e dello strazio devastante da loro provato nel ritrovarne i poveri resti occulti nel sottotetto di una Chiesa, Casa di Dio, dove si inginocchiano uomini e donne per presentare al Santissimo gioie, dolori, speranze, peccati, il peso quotidiano dei giorni, la voglia di bene, il desiderio di redenzione, le richieste di conforto, aiuto, perdono.. La SS. Trinità è stata profanata da un delitto orribile, una intera comunità ne è ferita e sconvolta. Ne è ferita e sconvolta la famiglia di don Mimì che tuttavia – in questo terribile momento – ha anche altri motivi di profonda amarezza.. Su don Mimì, sacerdote devoto al suo Ministro, si sta esercitando una azione che – nel giudizio della famiglia – va assumendo sempre di più i toni della diffamazione.. Come poteva don Mimì non sapere: lui, il padrone di casa, cui della SS. Trinità era noto ogni angolo, anche il più remoto? Come poteva il vecchio parroco ignorare che lì, nei meandri oscuri del sottotetto, giaceva il corpo martoriato della povera Elisa, lui che conosceva Danilo Restivo e che forse ne aveva raccolto le terribili confidenze? Lui, don Mimì che prete, meglio curato dei potenti, per ciò stesso, magari con le sue proprie mani ad Altro consacrate, si era prestato a celare, con il cadavere di una ragazza innocente, le prove di un efferato assassino e a mettere al riparo uno dei figli di una “certa” città cui non si può dire di no. E del resto il prete, con Mimì, non era forse scappato a Fiuggi quel maledetto 12 settembre, sbarrando la Chiesa, una fuga frettolosa e sospetta, tanto sospetta? E il prete, anima nera, anima perduta, non aveva poi custodito e reso inviolabile il Tempio, proibendo a chiunque di mettere piede sulla terrazza della canonica e di avvicinarsi al sottotetto, solo per raffinata astuzia clericale non sigillato a porte di ferro, non chiuso con sette mandate, non reso inpraticabile? E il prete – anima nera, anima perduta, non aveva – sacrilegamente – continuato a celebrare l’Eucarestia, i Battesimi, le Cresime, i Funerali, anche quelli della gente di casa, i parenti più stretti nel luogo santo ormai profanato non solo dalla uccisione di Elisa e dal turpe nascondimento del suo corpo ma dalla stessa sua presenza di uomo non di Dio, ma della colpa più oscura? Ma può amare una persona siffatta? Questo è il don Mimì che taluno si impegna con tenacia a dipingere. Tanto è morto e dalla tomba, nella quale è sprofondato con i suoi inconfessabili misteri, non può alzare la voce per difendersi da quanto di lui impunemente si dice, si scrive e, in qualche caso, si tace. Dinanzi ad un simile scempio, la famiglia di don Mimì non può più restare ulteriormente in silenzio. Don Mimì era sacerdote immerso nell’evidenza della Fede, impegnato nella sequela del Cristo sui Cui passi aveva cercato di orientare tutta la sua esistenza. E di Cristo don Mimì, per quanto lo permette la fragilità umana, aveva egualmente cercato di essere testimone trasparente.. Ma queste considerazioni valgono poco nella presente circostanza. Forse per rendere giustizia a don Mimì – e già anche su don Mimì va fatta giustizia – si deve attendere che gli investigatori e gli inquirenti che ne hanno, come dire, setacciato vita e opere restituiscano onore alla sua memoria. La famiglia crede che ciò avverrà, quando sarà possibile. Nel frattempo, la famiglia si chiede che valore abbiano e come debbano essere interpretati in questa tristissima storia i fatti seguenti: i fatti come tali acquisiti, non le ipotesi. Don Mimì quel 12 di settembre andò a Fiuggi non di corsa ma per cure termali programmate, come da comunicazioni a chi di dovere risalenti a tre mesi prima della partenza, avvenuta alle tre del pomeriggio con un pullman di linea diretto a Roma. Don Mimì ne discese al casello autostradale di Fiuggi dove era atteso da una vettura inviata dall’albergatore. La chiesa, quel 12 settembre e nei giorni seguenti, non è mai stata chiusa. La S. Messa vespertina vi fu celebrata regolarmente come regolarmente vi furono celebrate quotidianamente quelle del mattino e della sera da sacerdoti che sostituivano il parroco assente. Assente – peraltro – ogni anno di quei tempi. Don Mimì difatti ogni seconda domenica di settembre puntualmente partiva per le terme. Sempre Fiuggi, sempre lo stesso albergo, prenotato di anno in anno, le uniche vacanze che si concedeva. E sempre nella SS. Trinità venivano celebrate le Messe da sacerdoti la cui disponibilità don Mimì si era assicurata con largo anticipo. Di tutto vi è traccia documentata. E, quel 12 settembre, la chiesa non era affatto sprangata, come invece in tanti hanno raccontato, magari con qualche strappo al dovere di verifica. Al contrario, lo stesso Gildo Claps, alla ricerca di Elisa, ha potuto ispezionarla già nel primo pomeriggio. E la Chiesa è rimasta aperta e officiata nei giorni successivi, i giovani del Newman, dal canto loro, hanno continuato a svolgervi le loro normali attività. Vale la pena di domandarsi se questo significhi qualcosa? Magari sì. A Fiuggi don Mimì incontra una ragazza del Newman che gli chiede l’autorizzazione a festeggiare i suoi diciotto anni in canonica e di poter eventualmente salire con gli amici anche in terrazza. Don Mimì lo concede. Questo significa qualcosa? Forse sì. Ma don Mimì, si dirà e di fatto si è detto, può essere stato informato del delitto al suo ritorno o anche dopo. La richiesta di celare, nascondere, custodire può essere successiva anche di qualche mese alla data dell’assassinio. Già. Ma se così fosse stato, e comunque in ogni caso, non avrebbe don Mimì provveduto a sigillare con catene e lucchetti il sottotetto tramutato in una tomba oscena? Non avrebbe vietato a chiunque e per sempre di accostarsi a terrazza e dintorni? Forse sì. Ma così non è stato. Terrazza, sottotetto e dintorni sono stati frequentati nel tempo senza problemi: tra gli altri, da operai che nel ’96 vi hanno provveduto al rifacimento dei cassettoni del soffitto della Chiesa. Ma, chiediamo, nascondendo un segreto così orribile proprio lì, don Mimì avrebbe consentito, sollecitato, insistentemente postulato l’effettuazione di opere che prevedevano un assiduo soggiorno in quel posto terribile? E chi nasconde un segreto che lo trasforma da sacerdote del Dio della Luce in ministro delle tenebre non evita – forse – annuali, documentati alvori di manutenzione che portano continuamente persone in luoghi da serbarsi, invece, rigorosamente off limits? Sono solo dei fatti – ripetiamo, dei fatti – che potrebbero rendere meno difficile a chi una simile difficoltà rappresenta immaginare che don Mimì – forse, per carità, forse – nulla sapesse di cosa fosse stato orrendamente celato nel sottotetto della Trinità, per dimensioni, modalità d’ingresso e quant’altro non proprio, per inciso, la soffitta di casa. Don Mimì amava la SS. Trinità di un amore sponsale, le dedicava ogni cura. Mai gli sarebbe passato per la testa che lì qualcuno avesse osato commettere un crimine così nefando. Mai – a maggior ragione – sarebbe stato disposto a occultarlo lì, nella Casa del Signore affidata al suo servizio. Lì dove ogni giorno offriva “il Sacrificio di lode” e consacrava il Pane e il Vino per farne il Corpo e il Sangue di Cristo Gesù. Eppure, c’è che si industria a dipingerlo – anche attraverso immagini ben congegnate –come un Nosferatu capace di negare a sé stesso ogni moto di umana pietà, di annullare in radice l’essenza di ogni sentimento cristiano: un servo del Male. Ma perché – lui che al giudizio divino credeva – avrebbe dovuto sfidare il suo Signore con tanta temerarietà? Anche questa è domanda da non porsi, nell’attuale frangente. Non interessa i media, non è materia che possa essere trattata da investigatori e inquirenti. Dunque, è inutile. La Giuria, si direbbe nei processi di rito anglosassone, non ne tenga conto. La Giuria, però, di una circostanza – forse, per carità forse – potrebbe tener conto. Don Mimì, secondo la lettura mistificante della sua figura da certuni livorosamente diffusa cappellano dei potenti, maestro di cerimonie del Tempio della Potenza “bene” a cui vizi avrebbe donato compiacente assoluzione, don Mimì prono ai voleri delle forze nascoste che, secondo qualcuno, tenevano e tengono la città e la regione in completa soggezione, don Mimì, il levita della cricca, don Mimì se ne è andato povero. Nel testamento (il famoso testamento segreto) rinvenuto dai parenti e ora negli archivi di un notaio della città, don Mimì ha così disposto delle uniche cose che possedeva:
la casa, donatagli dalla madre e nella quale viveva dalla metà degli anni ’80 – bisogna ricordarlo di fronte a disinvolte diverse informazioni – destinata in proprietà alla Parrocchia e in usufrutto a fratelli e sorelle finché in vista con l’obbligo di affittarla ad equo canone a coppia giovane e in condizioni disagiate che avesse voluto abitare nel centro storico;
il pianoforte alla Parrocchia;
la biblioteca al centro Newman;
i suoi risparmi – 4000 euro – alla famiglia cui chiedeva di far celebrare Messe in suffragio nelle ricorrenze della nascita, della ordinazione sacerdotale, della morte.
La famiglia di don Mimì, sacerdote secondo il cuore di Dio, a Dio lo affida e prega il Signore della Pace perché pace voglia concedere alla sua oltraggiata memoria, alla cui difesa in qualsiasi sede si rendesse opportuno non intende minimamente sottrarsi, pur non avendo a disposizione tribune di sorta né sostegno di agguerrite truppe ausiliare. Per debito di affetto verso una persona carissima. Per debito di giustizia verso chi non può difendersi. Per debito di amore verso la S. Chiesa potentina. Per debito di verità verso un prete che della Verità e vissuto. E per debito di verità a Voi, Beatissimo Padre, destinatario anche di altre missive, la famiglia di don Mimì invia queste righe, dalla Santità Vostra implorando, nel tempo della prova, la confortatrice benedizione apostolica.
La famiglia di don Mimì

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE