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di GIUSEPPE PASQUINO
Cliniche private al posto degli ospedali dismessi. Un vero carrozzone sanitario, con un bilancio dissestato di cui non si conosce nemmeno il fondo. Ospedali dappertutto e, come se non bastasse, una miriade di cliniche private a drenare risorse senza limiti. Personale pubblico in esubero, buona parte concentrato negli uffici dove gongola gran parte del magma clientelare parassitario. Più nello specifico. Oltre trenta ospedali e altrettante cliniche private. Un’offerta concretamente superiore agli standard normali, ancor più accentuata ove si consideri il grave fenomeno dell’emigrazione sanitaria. Ma ormai la misura è colma. La crisi economica che coinvolge l’Europa e l’intero Paese, la ribellione ben giustificata del Nord e della provvida Lega, il federalismo in itinere costituiscono fattori di un imperante quanto prossimo ridimensionamento delle risorse pubbliche a disposizione. Con necessità, finalmente, di una politica virtuosa, che ben poco potrà fondarsi su nuove tasse, dovendo invece avere di mira un radicale cambiamento dell’intera politica sanitaria regionale, con tangibili tagli, riduzione del personale uniti ad una necessaria riqualificazione della spesa. E la conseguente necessità di chiudere buona parte delle strutture inutili. Ma come evitare che il risparmio non si trasformi in disservizio, privando buona parte della popolazione, particolarmente quella che vive nelle zone più interne e disagiate, della necessaria assistenza sanitaria ? A mio avviso, la vera chiave di volta è considerare pubblico e privato come un sistema integrato, perché comunque fondato su risorse pubbliche, condizionando il provato che intenda accreditarsi a precisi limiti finalizzati a garantire un eccellente servizio alla collettività. Il privato, insomma, potrà beneficiare di risorse collettive solo in quanto sia effettivamente complementare, quindi sussidiario al sistema pubblico. Più chiaramente, dimezzati gli ospedali, dovrà essere il privato a far rivivere parte delle strutture dimesse, prendendo il posto delle stesse. Nessun accreditamento invece se il privato non si integra col sistema. Un esempio concreto potrà meglio chiarire la proposta. Nella provincia di Vibo Valentia esistono quattro strutture ospedaliere: Vibo, Serra, Soriano, Tropea, (oltre Pizzo e Nicotera, e scusate se è poco ). Oltre una casa di cura privata, nel capoluogo. Orbene, la casa di cura, per avere diritto all’accreditamento dovrà trasferirsi presso una delle strutture soppresse, da ricevere in uso, garantendo dunque il mantenimento del servizio. Analogamente dovrebbe accadere per i laboratori privati (servizi analisi, radiologici e quant’altro), da accreditare solo ove coprano le zone in cui il servizio pubblico è carente. Anche in questo caso, potrebbero essere collocati nelle strutture dimesse, costituendo anzi il nocciolo duro delle costituende Case della Salute, con un notevole risparmio di spesa. Quanto al personale, poi, se la riorganizzazione del pubblico, come sopra prospettata, sarebbe in grado di garantire un uso più razionale del personale sanitario, per quello burocratico dovrebbe essere arrivata l’ora della sua messa in mobilità con riguardo ai dipendenti in esubero. In un sistema in cui sono i trasferimenti statali (fino a che il federalismo non prenderà piede) a garantire il pagamento delle retribuzioni, non vi è alcun motivo per non dislocare il personale in eccedenza in quei settori del settore pubblico allargato dove ve ne sia effettivo bisogno, salvo il licenziamento di chi non intenda aderirvi. La voragine della sanità può essere rapidamente colmata, senza alcun danno per i cittadini, anzi nel loro esclusivo interesse, anche in una regione come la Calabria. Ma serve solo una cosa, quello che si chiama coraggio !

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