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di LEO AMATO
POTENZA – La Corte d’assise d’appello di Potenza ha confermato la sentenza di primo grado nel processo per l’omicidio di Filippo Di Cecca, scomparso il 13 febbraio del 1996 a Matera, e ritrovato a distanza di un anno nelle vicinanze della diga di San Giuliano.
In primo grado erano stati condannati in quattro, tutti fratelli, Rocco, Vito, Nunzio e Antonio Trolio, a 30 anni il primo per aver fatto fuoco, 27 il secondo, e 24 gli ultimi due in qualità di complici e responsabili per l’occultamento del cadavere.
Scagionati invece Pierdonato Zito e Aldo Pascucciello, presunto mandante e autista dell’autovettura dove Di Cecca sarebbe stato colpito a morte.
Per loro nella scorsa udienza la procura generale aveva chiesto rispettivamente una condanna all’ergastolo, e a 21 anni di reclusione.
Le motivazioni della decisione saranno rese note solo nei prossimi giorni, ma da una prima lettura del dispositivo sembrerebbe aver resistito la tesi del delitto d’impeto, anche se maturato nell’ambito di una frizione continuata tra le due bande che gestivano il narcotraffico nella città dei Sassi: l’una agli ordini dell’assassino Rocco Trolio, considerato il luogotenente del clan di Pierdonato Zito appena uscito vincente dalla faida di Montescaglioso con i tarantini del gruppo Bozza-Modeo; l’altra guidata dal padre della vittima Vincenzo Di Cecca, detto “il toro” di Gravina.
Era stato proprio Pascucciello a offrire ai giudici la ricostruzione esatta dell’omicidio. Quella sera Filippo Di Cecca e Rocco Trolio si sarebbero incontrati per cercare di appianare le divergenze che nell’ultimo periodo erano sfociate in una serie di attentati a colpi di fucile da entrambe le parti.
I due sarebbero stati armati, e a un certo punto avrebbero deciso di mettersi in auto per raggiungere una terza persona a Roseto Capospulico, in provincia di Cosenza, assieme a Pascucciello che guidava.
Ma sulla strada per l’imbocco della Matera-Ferrandina Filippo Di Cecca avrebbe chiesto all’improvviso di scendere dall’auto, e dal sedile posteriore Rocco Trolio avrebbe esploso d’istinto due o tre colpi di pistola colpendolo diritto alla nuca. Dopodichè avrebbe fatto rotolare il cadavere da una scarpata.
Di lì i fratelli di Trolio lo avrebbero spostato diverse volte fino al ritrovamento nelle vicinanze della diga di San Giuliano.
Sarebbe stato l’assassino a indicare Pierdonato Zito come mandante di quell’omicidio, iniziando a collaborare con i magistrati a distanza di qualche mese, mentre i fratelli suggerivano agli investigatori dove andare a cercare i resti.
Per i giudici della Corte di Assise d’Appello non si è mai raggiunta la prova del coinvolgimento diretto di Zito.
Per cui sia lui che Pascucciello sono stati assolti anche ieri per “non aver commesso il fatto”.

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