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di ROCCO PEZZANO
NON CI sono più, le punte di parafulmine e i rifiuti ospedalieri che fino a poco tempo fa contendevano lo spazio, nell’Itrec di Rotondella, alle 64 barre di uranio-torio di Elk River.
Non ci sono più da un paio d’anni: la Sogin se n’è liberata in un periodo compreso fra il 2006 e il 2008. A confermarlo, per telefono, la stessa Sogin.

Convogli e trasparenza
Dunque, carichi di materiale radioattivo – come sono le punte dei vecchi parafulmini e alcuni tipi di scarti di reparti ospedalieri come Oncologia o Radiologia – sono partiti negli anni scorsi dall’impianto gestito dalla Sogin per dirigersi alla volta della Nucleco, società del settore, nel Lazio.
Nulla di questa attività è mai trapelata. Nemmeno nel Tavolo della Trasparenza. Questi sono i suoi compiti: «La funzione e la finalità del tavolo sono quelle di assicurare la vigilanza e l’informazione su tutte le attività che saranno svolte per la messa in sicurezza dei materiali radioattivi presenti nel sito di Trisaia (Rotondella) ed in generale su ogni attività di rilievo nel settore della tutela della salute e dell’ambiente dal nucleare».
Se ne dice sorpreso lo stesso presidente della Regione Basilicata: «In effetti – dice al telefono Vito De Filippo – avremmo dovuto saperlo. Almeno un’informativa avrebbero dovuto farcela».

Dai Settanta
Ma cosa ci fanno pezzi di vecchie aste di ferro, bende, lastre et similia? I rifiuti ospedalieri pare provengano dal dettato di una disposizione ministeriale (per la precisione del Cnen, il vecchio Comitato nazionale per l’energia nucleare, che nell’82 è diventato Enea) che chiese intorno alla metà degli anni Settanta ai dirigenti ospedalieri di convogliare verso gli impianti nucleari del territorio i propri rifiuti radioattivi.
Idem o quasi per le punte di parafulmine, il cui smaltimento venne affidato all’Enea. Sulla parte terminale delle aste, un tempo, venivano inserite alcune parti di americio, un materiale molto radioattivo. Si tratta di una sostanza che viene fuori dal bombardamento di plutonio con fasci di neutroni. Venne prodotto per la prima volta nel 1944.
Ha una radioattività circa tripla rispetto al famoso radio. Addirittura il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia ipotizzò nel 1998 che con Am 242 (un isotopo dell’americio) si potesse alimentare un reattore nucleare ad alta efficienza.
Fra le sue caratteristiche, la capacità di “ionizzare” l’aria attorno a sé. In pratica, gli atomi dell’aria circostante modificano il proprio numero di elettroni. Questo fa sì che, ad esempio, una punta di metallo – che di solito attrae forti scariche elettriche – ottiene un potere di attrazione maggiore e più esteso. Riesce a catturare fulmini in un raggio più ampio.
Ed ecco perché un tempo – quando si pensava agli effetti della radioattività sulla salute umana meno di quanto si faccia oggi – l’americio era diventato parte integrante dei parafulmini. Oggi i parafulmini non hanno più americio. Non si sa quanti ce ne siano ancora in Italia di quelli vecchi e quanti siano stati smaltiti secondo le leggi del settore.
Per quanto riguarda i rifiuti ospedalieri, è noto che alcune attività sanitarie comportano la contaminazione di liquidi e solidi, i quali vanno smaltiti poi secondo norme assai severe.
Ed è quanto accaduto anche in questo caso.

Eredità
Questa infatti la versione ufficiale da parte della Sogin: «I rifiuti in oggetto non facevano parte del materiale del ciclo del combustibile quindi non erano soggetti alla gestione Sogin. Il materiale, in seguito ad accordi con la stessa Enea e all’iter istruttorio necessario, è stato trasferito, tra il 2006 e il 2008, con vettore autorizzato al trasporto di materiale radioattivo, nei centro della Nucleco, l’operatore italiano per la gestione dei rifiuti a basso e medio livello di radioattività prodotti in Italia e designato nell’ambito della Convenzione sottoscritta con Enea a realizzare il Servizio Integrato di Gestione dei Rifiuti Radioattivi a media/bassa attività provenienti da attività medico-sanitarie, di ricerca scientifica e tecnologica e da altre attività non elettriche».

Il pm & l’istituzione
Della presenza di questi scarti è stato possibile sapere grazie all’audizione del procuratore della Repubblica di Brescia, Nicola Maria Pace, davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, il 20 gennaio scorso. Pace, lucano, è stato negli anni Novanta magistrato in Basilicata. All’epoca portò avanti diverse inchieste sulle questione del nucleare, arrivando a ipotizzare legami fra vicende lucane e traffici internazionali di materiale nucleare.
Alla Commissione disse, parlando di una sua ipotesi di smaltimento illegale di rifiuti: «Nel centro vi era la giacenza di quattordici container di materiali radioattivi di provenienza ospedaliera, rifiuti meno impegnativi provenienti dagli ospedali, da centri di ricerca e di cura dei tumori. (…) Oltre a questi c’erano le testine di parafulmine. Le nostre caserme, le nostre chiese, i nostri ospedali sono tuttora dotati di parafulmini di vecchia maniera o di rilevatori di fumo basati sulla radioattività. (…) Nell’Enea c’erano fusti da duecento litri, che contenevano tante testine di parafulmine. Da qui mi nacque l’idea di bonificare la provincia di Matera, che in Italia fu l’unica bonificata di tutti i parafulmini censiti, individuati e tolti, tanto che il ministero della Salute dell’epoca mi chiese anche il protocollo operativo nella prospettiva di estendere questa iniziativa a tutto il Paese, cosa che sarebbe molto salutare perché ad esempio in caso di terremoto nessuno si occupa di sapere dove sia finita la testina di americio che va in discarica e che propaga radioattività per 4000 anni».
Adesso di quei rifiuti la Basilicata non deve più preoccuparsi. Fino a oggi, invece, di quei materiali, della loro storia e del loro trasporto nessuno ha saputo alcunché.
r.pezzano@luedi.it

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