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di SARA LORUSSO
POTENZA – «Sono severo perché prendo sul serio tutte le cose, tranne me stesso fortunatamente». Sorride il preside Raffaello Antonio Mecca, il “custode” del liceo classico Quinto Orazio Flacco di Potenza. Dopo cinquat’anni di insegnamento, a sessantotto anni di età, «vado in pensione». Triste? Lascia che a rispondere sia San Paolo che cita da una lettera ai Romani: “Sappiamo infatti che ogni creatura, di ora in ora, geme nello sforzo di partorire se stessa”. Anche lui tra qualche giorno vestirà un “abito nuovo”. «Ho organizzato in questi giorni dei momenti di saluto – spiega – per poter incontrare i ragazzi e gli insegnanti prima che arrivi l’estate e li perda di vista». Ma sarà in servizio fino ad agosto. E poi, a ben vedere, è sui suoi alunni che concentra il racconto di anni passati da docente, prima, da preside poi. «Non ne ho mai incontrato uno “scemo” – ama ripetere come un ritornello – o cattivo». Perché lui, che appartiene alla “scuola” di Giovanni Gentile, sa che spetta a «noi provare a creare un varco nell’animo dei ragazzi». E’ la scuola per cui i presidi, in dote, devono portare “gran cultura e grande cuore di educatori”. «Oggi ci vogliono manager, avvezzi alle grandi relazioni. Non che questo non conti, ma credo venga dopo, o ne sia capacità conseguente. Le relazioni vengono dall’autorevolezza». E i ragazzi , giura, la sanno riconoscere. Quando arrivò al Flacco da insegnante (ne era stato allievo ai tempi della preside Amina Capoluongo Ferrari) era giovanissimo, poco meno che ventenne. «In classe, tra gli alunni, incontrai un amico che si ostinava a darmi del “tu”. Lo convocai per un’interrogazione nonostante avesse detto di non essere preparato. Questo solo per far capire che non bisogna mai confondere l’amicizia con il rapporto educativo». Ma è in quest’ultimo, spiega, che ha messo passione, dedizione, grande impegno. Anche a costo di sembrare “burbero”. Ai suoi allievi «penso sempre, mi porto la scuola anche a casa. E capita spesso che mi interroghi su cosa stiano facendo. Ha idea di quanti ne ho trovati docenti nelle università italiane?». Scuola potentina d’eccellenza, il Flacco, che ha formato gran parte della classe dirigente lucana. Tra gli alunni “famosi”, anche chi di questa terra, ad ogni modo, ha fatto la storia. Da quelle aule sono passati Francesco Saverio Nitti (vincitore di una borsa di studio), il presidente del consiglio Emilio Colombo e, anche se solo per meno di una anno, Aldo Moro. «Non ho trovato atti negli archivi, ma fu proprio lui a raccontarmelo durante un incontro». Il padre dello statista era un ispettore scolastico che venne per un po’ trasferito nel capoluogo. Qualche anno dopo, da statista, Moro venne a Potenza. Di quel passaggio fugace nella scuola potentina anche altri hanno appreso, ma era troppo piccolo all’epoca perchè qualcuno comprendesse il “valore” dell’incontro. Mecca al liceo classico da preside è arrivato nei primi anni ‘90, ma tra quelle aule ne aveva passati venti da insegnante. Lettere, filosofia, latino, sempre al triennio. Aveva varcato il protone dell’istituto nel 67’, «ma la contestazione a Potenza è arrivata nel ‘74. Certo il fermento c’era e del ‘68 arriva la eco». Famoso per il suo rigore, per non aver mai appoggiato manifestazioni, proteste, “scioperi” degli alunni entrò in classe «recitando un’ode di Orazio, con tanto di commento e traduzione. I ragazzi hanno capito subito, credo che sappiano sempre riconoscere gli altri, l’autorevolezza, prima che l’autorità». «Ricordo che nell’anno scolastico 67/68 organizzai un ciclo intensivo di lezioni, naturalmente di pomeriggio, aggiuntive. Ma fu un successo: su 24 allievi, a fine anno, un 10, un 9, quattro 8, e sette 7. Non male, vero?». Tra quegli alunni anche il giornalista Erberto Stolfi e lo storico Giampaolo D’Andrea, ex sottosegretario. Ed ancora giudici, banchieri, futuri presidi. Qualcosa, da allora, è cambiato. Dicono che la scuola non sia più la stessa. «Molta acqua è passata sotto i ponti, è cambiato il quadro storico e sono cambiati gli alunni». Un po’ come il linguaggio: «quello informatico ha sostituito la scrittura che a sua volta aveva preso il posto della memoria. Sono cambiate molto anche le famiglie, c’è più solitudine. E gli insegnanti spesso vengono trattati come merce monetizzabile. Ma lo ripeto, mai incontrato un ragazzo cattivo. Magari pieni di difetti, come me del resto. Ma hanno sempre attesa di bene, sete di verità, di impegno». Credente convinto, «ma laico da sempre». Una breve esperienza in una scuola cattolica privata e una vita nella scuola pubblica statale: «Un patrimonio da tutelare». Alle lettere ci arriva per inclinazione: «Vengo da una famiglia umile, ma sono sempre stato circondato da letterati», parenti o uomini di chiesa. Frequentava la cattedrale, il vescovo Bertazzoni è stato il suo padrino di Cresima. Poi l’esperienza nella Fuci (la federazione degli universitari cattolici): chi condusse con lui le “battaglie” per la istituzione dell’università lucana ne ricorda il grande attivismo. Mai urlato, dicono. Ma se c’è da raccontare un episodio in particolare, «li tengo segreti». Sono storie, quelle dei ragazzi, che segue una per una. Ed è vero – sorride – che li andava a “recuperare” se provavano a fare “filone”. «Meglio stare a scuola che in strada». Ecco il preside, più che il dirigente. «La scuola è luogo di incontri di coscienza, è travaso di anime». Per questo «ho sempre cercato di dare agli alunni la possibilità di incontrare personalità delle istituzioni, della letteratura. Purchè non ci sia strumentalizzazione, purchè si tratti di cultura». La scuola non è sede per fare politica. Che poi è una sua grande passione. Un ritorno alla pratica in vista? «La politica – dice – come gestione del potere, non mi interessa. Oppure, come per i cattolici, è profezia, e questo nessuno potrà impedirmelo. Non taccerò mai». E poi, «all’esercizio del potere si arriva per elezione, la comunità mi ha respinto più volte», ironizza. Eppure di questa città è stato sindaco, consigliere comunale, assessore. «Arrivai a fare il primo cittadino perchè il gruppo della Dc guidato da Antonio Potenza cercava un “uomo nuovo”. Ma io non mi faccio imbrigliare da nessuno e la verità è che ho mantenuto buoni rapporti con tutti». La notte più dura, la vigilia di Natale del ‘75, durante la frana di contrada Gianrossa. «Era festa e dovevo sfrattare i contadini. Se lo immagina? Stetti con loro per due notti. Ma poi, con la loro naturale gentilezza, quei contadini mi osservarono e mi dissero: “Mo’ devi mangià”. Ero digiuno da due giorni». Quell’esperienza da sindaco «è stata formativa. Perchè fare il primo cittadino a Potenza vuol dire confrontarsi con l’intero ambito delle esigenze umane, un po’ grande borgo, un po’ capitale. Ma se il criterio che si usa è quello dell’onestà, si va avanti. Anche se devo dire che quella carica – e qui ironizza – non mi ha portato fortuna». Non politicamente, forse. Lui resta per tutti il preside Mecca, quello del liceo classico di Potenza. E tanto basta.

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