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di LUCIA SERINO La moglie di Andrea Romaniello non ricorda. «Di Don Mimì? No, non ne abbiamo mai parlato, non mi ha mai detto niente». E’ ancora una ferita aperta quell’incidente stradale che le ha portato via l’uomo della sua vita. Era un geometra, Romaniello, e da perito di parte doveva effettuare un sopralluogo nei locali della Santissima Trinità. Al processo, il primo processo, quello per falsa testimonianza a carico di Danilo Restivo, disse: «Don Mimì non mi ha fatto salire». La dichiarazione rimase lì. Don Mimì fu vago al processo. Poi Romaniello è morto. E non è l’unico decesso collegato a questa storia. Una dannata coincidenza. Circostanze che vanno a infittire il contesto di misteri e stranezze che accompagnano questi lunghissimi diciassette anni dalla scomparsa di Elisa. Come quella del poliziotto che segnalò la presenza di Elisa proprio nel luogo dove è stata trovata. Nessuno raccolse il suo avviso. Eppure il Quotidiano ha raccontato di molte testimonianze in base alle quali risulta che don Mimì non era l’unico ad avere le chiavi della chiesa. Del resto proprio il pomeriggio di quella maledetta domenica, come ha poi dichiarato alla polizia, in Chiesa entrò anche Gildo. Don Mimì era già a Fiuggi. Gildo cercò la sorella, non la trovò. Il parroco della Trinità se per alcuni peccava di eccessiva fiducia nei confronti di chi frequentava la Chiesa, per altri era l’intransigenza in persona. Governava la chiesa con piglio autoritario, ma lasciava anche fare, come quella festa che a pochi giorni di distanza dall’omicidio di Elisa si tenne sul terrazzo dal quale poi si accede al sottotetto. Anche questa è una bella stranezza.
Fatti e opinioni contrapposti che danno, ancora una volta, il senso di quanto sia complicato arrivare a decriptare la verità.
Ieri, per esempio. Ieri doveva essere una data cruciale nelle indagini. Scadevano i sessanta giorni che il gip aveva dato ai periti per consegnare le analisi sui numerosi reperti raccolti nel sottotetto. I vestiti innanzitutto e il bottone, da ultimo. Ma anche mozziconi di sigarette, tegole e materiale vario su cui cercare tracce biologiche del presunto assassino, eventuale altro Dna, la natura dei residui metallici lasciati dalla lama sulle ossa della vittima.
L’ultima novità, quella del bottone, se da alcuni investigatori viene considerata rilevante per la ricostruzione di possibili complicità (sembra probabile che possa essere appartenuta a una giacca, modello maschile) da altri viene valutata con minore importanza. Chi ha visto quell’accessorio ritiene che possa essere lì da più tempo. Troppo usurato e di modello decisamente antico per essere ricondotto a un indumento di diciasette anni fa. Che, comunque, non era indossato da Danilo Restivo, quel giorno.
Ma non è l’analisi merceologica del tessuto che ricopre il bottone che potrebbe causare uno slittamento della consegna delle analisi. Oggi sapremo se sono state chieste proroghe dai periti e se il Gip deciderà di accogliere la richiesta. E’ molto probabile che, ove mai la richiesta di prolungare il lavoro scientifico dovesse essere presentata, il magistrato l’accoglierà. Anche perchè, a dirla tutta, in termini strettamente processualistici, non ci sono rischi di prescrizione. In altre parole non c’è fretta. Restivo è detenuto in Inghilterra e la Corona non lo mollerà finchè non sarà chiuso il caso Barneth.
L’ordinanza di custodia cautelare della Procura di Salerno per il caso Claps non è stata notificata e non lo sarà finchè Danilo non varcherà il confine italiano e dunque non c’è rischio di decorrenza termini. La vera attesa è a Potenza, la vera attesa è della famiglia che ancora, se non saranno ricomposti i resti di Elisa, non potrà celebrare i funerali.

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