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di ENZO ARCURI
Domanda, bisognava davvero aspettare l’inizio dell’estate per avviare un’indagine a tutto campo per verificare lo stato di salute del mare calabrese? Bisognava arrivare a giugno per accertare se il mare, soprattutto quello al largo della costa tirrenica cosentina, fra Amantea e Cetraro, abbia subito danni dalla presenza sui suoi fondali delle navi a perdere cariche di rifiuti tossici affondate anni fa dalla ’ndrangheta? E’ dall’autunno scorso, quando erano state rese note le rivelazioni di un pentito ndranghetista che si è accusato dall’affondamento di almeno due vecchie navi ed era partita l’inchiesta della Procura della Repubblica di Paola, che in Italia e nel mondo si è sparato a cannonate sulla salute del mare calabrese. Una montagna di sospetti che aveva messo in crisi il settore della pesca (che poi silenziosamente ha ripreso a lavorare) e che rischia ora di compromettere l’imminente stagione estiva. Lo sconcerto dell’opinione pubblica calabrese, indignata da vicende oscure ed inquietanti maturate attraverso torbidi intrecci fra criminalità organizzata, imprenditori spregiudicati e pezzi di stato, che avevano trasformato il mare calabrese e parti rilevanti del territorio regionale in un pericoloso mondezzaio, avrebbe dovuto imporre accertamenti immediati. Come peraltro da più parti era stato richiesto. Ed invece, era parso che la vicenda si fosse conclusa, dopo la discutibile e molto discussa iniziativa del ministero dell’Ambiente, che aveva escluso la presenza al largo di Cetraro della nave a perdere indicata dal pentito ed aveva invece sostenuto di avere individuato il relitto di una nave militare inglese affondata addirittura durante la prima guerra mondiale. La stessa magistratura inquirente di Paola aveva dovuto prendere atto dei risultati dell’indagine ministeriale. Non tutti, però, avevano abbozzato ed abbassato la guardia evidentemente. Le organizzazioni ambientaliste (e non solo loro) non avevano alzato bandiera bianca, avevano anzi continuato a sollevare dubbi ed a chiedere accertamenti più approfonditi. E tuttavia sull’intera vicenda delle navi dei veleni sembrava calato un silenzio imbarazzante. A riaprire adesso il caso è stata l’Arpacal, l’agenzia regionale per l’ambiente, che si appresta a stipulare una convenzione con la Capitaneria di porto di Vibo Valentia per la verifica dello stato di salute del mare nel tratto che va da Amantea a Cetraro ed anche oltre. Si dirà finalmente, meglio tardi che mai, ma è legittimo chiedersi se davvero occorrevano più di sette mesi per avviare un’iniziativa che sarebbe stato doveroso mettere in campo immediatamente. Per tranquillizzare le popolazioni che vivono sulla costa, per non penalizzare le migliaia di famiglie che vivono di pesca, per non compromettere il turismo marino, un settore strategico dell’economia regionale. Ed invece si è attesa l’estate per fare ciò che una regione attenta e responsabile avrebbe dovuto fare con ragionevole speditezza. Sarebbe interessante capire che cosa ha finora impedito all’Arpacal di fare chiarezza, come da molte parti si chiedeva, per scongiurare per tempo i rischi di penalizzazione per settori importanti dell’economia calabrese. Non è accettabile il trito ritornello secondo cui in Calabria può accadere questo ed anche altro, no, non ci si può rassegnare, la Calabria merita altro e bisogna che chi ha responsabilità se ne faccia carico. Semmai adesso si tratta di non perdere altro tempo, l’accertamento deve essere celere ed approfondito e non è il caso di sottolinearne i motivi. L’estate è alle porte, le spiagge, nonostante il bel tempo di questi giorni, sono desolatamente deserte, alberghi e strutture ricettive sono vuoti, a sentire gli interessati le prenotazioni languono, non c’è da stare allegri. Il mercato, non solo il mercato, ma anche un’intera regione pretendono certezze, parole chiare e definitive. Se, come tecnici ed esperti sostengono, il mare calabrese, al di là dell’inquinamento organico, non ancora del tutto eliminato, a causa del cattivo funzionamento della rete dei depuratori, dovesse risultare immune da fenomeni riconducibili alla presenza delle navi dei veleni, si potrebbe per tempo organizzare una massiccia campagna per fugare ogni sospetto e restituire credibilità all’offerta turistica regionale. Quello che appunto si deve fare prima. Comunque cosa fatta, capo ha, adesso recriminare non serve. A patto però che ci si renda conto che il tempo è denaro. E di tempo ce ne è davvero poco.

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