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di TONINO PERNA
IL direttore Matteo Cosenza ha scritto un importante articolo domenica scorsa. Importante per due ragioni fondamentali: a) pone con chiarezza il rapporto che passa tra energie rinnovabili e tutela ambientale; b) propone che la Calabria si candidi, a livello europeo, a diventare una regione all’avanguardia nella produzione di energie rinnovabili. L’occasione è data dalla constatazione dello scempio che ha colpito l’area marina protetta di Isola Capo Rizzuto, uno scempio paradossalmente dovuto all’uso improprio di una fonte rilevante di energia rinnovabile: l’energia eolica. Chi scrive è da sempre un convinto sostenitore dell’energia eolica e lo ha anche dimostrato promuovendo Eolo 21, da presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, la prima società calabrese per la produzione di energia rinnovabile. Mettere delle pale eoliche in un parco nazionale poteva sembrare una provocazione e suscitò non poche contestazioni da parte di alcuni amici ambientalisti. Ma, ed è questo il punto, dipende da dove e come si mettono. Per localizzare le aree idonee dentro quel parco sono state effettuate ricerche per due anni, sono stati coinvolti ricercatori di alto profilo ed esperti della Lipu e del Wwf. Chi prende sul serio l’ecologia sa che ogni intervento che modifica l’habitat va studiato e che anche le energie rinnovabili possono provocare danni, non solo paesaggistici. Le centrali a biomasse, ad esempio, stanno provocando disastri perché, essendo di grande taglia, abbisognano di essere rifornite da biomasse distanti anche centinaia di chilometri o di arrivare a tagliare alberi vivi e vegeti, come sta facendo da tempo la centrale a biomasse di Cutro, sfruttando importanti risorse forestali nell’area presilana. E questa scelta, oltre che dannosa sul piano ambientale, sta diventando antieconomica con la nuova legge sui certificati verdi che penalizza chi reperisce le biomasse a una distanza superiore ai 70 km rispetto alla centrale. Eppure, malgrado le evidenze, c’è chi progetta una nuova centrale a biomasse a Panettieri che dovrebbe utilizzare, per entrare a regime, 120.000 tonnellate annue di massa legnosa. Da un punto di vista ecologico le centrali a biomasse hanno un senso solo se utilizzano gli scarti delle lavorazioni agrico-industriali e se la biomassa necessaria si trova a non più di 50 km, come testimoniano diversi studi. E anche i pannelli solari possono provocare danni se non sono utilizzati correttamente. Immaginate voi i tetti di Gerace, la perla dello Jonio, coperti di pannelli solari, o una cascata di pannelli solari su Chianalea a Scilla o nel borgo antico di Tropea! Ancora più dannoso, per altri aspetti, è l’uso dei pannelli solari a terra, in aree agricole sia pure marginali. E’ un errore che si sta commettendo anche in regioni virtuose, come la Puglia, guardando solo al breve periodo. Infatti, a livello globale, le aree destinate all’agricoltura stanno diminuendo progressivamente, mentre la popolazione mondiale continua a crescere, e i terreni agricoli diventeranno una risorsa preziosa nel prossimo decennio. Per questo possiamo definire come un tragico errore il fatto che nel Brasile di Lula si continuino a tagliare centinaia di migliaia di ettari della foresta amazzonica per produrre il biodiesel. Facciamo mangiare le auto al posto degli esseri umani. In estrema sintesi: sappiamo che dobbiamo ridurre il consumo di petrolio e di carbone per il loro impatto inquinante e siamo coscienti del fatto che l’energia è ormai indispensabile alla nostra civiltà. Ne consegue che il risparmio energetico, taglio degli sprechi che sono tanti, ed energie rinnovabili costituiscono una scelta obbligata, come emerge formalmente da tutti i summit internazionali. Alcuni Stati hanno fatto seguire i fatti alle parole (come la Germania, i paesi scandinavi, eccetera), altri hanno detto “siamo troppo poveri per occuparci della salvezza del pianeta”, altri infine hanno continuato a giocare su una questione così rilevante. Noi, purtroppo, apparteniamo a quest’ultima schiera. Non c’è in Italia una strategia energetica degna di questo nome, ma solo cordate di interessi che di volta in volta puntano su una determinata fonte energetica. E in Calabria, è inutile dirlo tanto è evidente, è il caos che impera insieme alla corruzione. Qualcuno mi dovrebbe spiegare perché un’energia pulita come quella eolica, usata con successo e senza problemi in tante parti del mondo, in Calabria sia stata inquinata da una serie di “tangenti”, autorizzazioni illegali e infiltrazioni mafiose. Eppure, proprio in Calabria abbiamo un esempio lampante di come una risorsa rinnovabile – l’acqua – sia stata usata correttamente per creare in Sila, negli anni ’50 del secolo scorso delle centrali idroelettriche che non solo continuano a produrre quasi la metà dell’energia che consumano i calabresi, ma hanno migliorato e reso più suggestivo il paesaggio. Se la Calabria puntasse correttamente all’uso delle energie rinnovabili ne avrebbero un grande beneficio l’ambiente, l’economia e la società. Si è calcolato che il settore delle rinnovabili – tra eolico, solare, piccole centrali idroelettriche e a biomassa, risparmio energetico- potrebbe dar vita, in maniera diretta e indiretta, a circa 20.000 nuovi posti di lavoro qualificato. Ci lavorerebbero artigiani, tecnici, ricercatori, eccetera. Che cosa manca per raggiungere questo obiettivo? Innanzitutto, un piano energetico regionale degno di questo nome, che sia fondato sulla certezza e trasparenza delle autorizzazioni, che sia basato su studi seri e puntuali. In Calabria ci sono studiosi e ricercatori in grado di contribuire a stendere un piano energetico che porti ai risultati sovraesposti. Manca una ecologia politica, nell’accezione di una politica che mette l’ecologia come scienza al centro della sua strategia e che rende trasparente la burocrazia e i processi decisionali. Un’ecologia politica che, come ricorda l’economista francese Fitoussi in un recente saggio, sappia dare una risposta coerente alla crisi in corso che è insieme ambientale ed economico-finanziaria. Purtroppo, finora l’unico interesse per l’ecologia che ha dimostrato la nostra classe politica-burocratica è quella del riciclaggio, che gli ha consentito di sopravvivere a tutte le crisi del nostro tempo.

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