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di FERNANDA GIGLIOTTI
Egregio Direttore, ho letto e riletto con grande attenzione il suo editoriale del 2 giugno sui parchi eolici di Isola Capo Rizzuto e non posso che concordare con le sue osservazioni, preoccupazioni e conclusioni. La sua analisi serena, ma impietosa, ha il garbo di trattare l’affaire eolico come se fosse ancora possibile un ritorno al futuro, ad un piano energetico programmato con l’obiettivo della produzione di energia pulita e rinnovabile, compatibile con la salvaguardia del nostro territorio. Ed anche io voglio essere ottimista, ma a differenza sua posso permettermi il “non garbo” di affermare che fino ad oggi nell’eolico, ma non solo, si è commesso l’errore di anteporre esigenze di mero investimento, finanziamento, speculazione, all’obiettivo principale che doveva essere, appunto, la produzione di energia pulita. A volte sembra che l’obiettivo principale, sia un evento meramente incidentale potendo anche non esserci, perché tutto si consuma nella progettazione, nella cantierabilità, nel collaudo, nella successiva gestione e manutenzione. Un po’ come l’affaire depurazione e cioè un business di centinaia di milioni che non ci affranca dalle schiumose e melmose linee di galleggiamento marino. E così l’eolico è divenuto in Calabria il nuovo Campanile di ogni Municipio con cucuzzolo disponibile, un moderno pennacchio di ogni bravo Comune in dissesto finanziario. Allo stesso modo altre modernità, altre “utili opportunità”, sono state trasformate in freno per lo sviluppo, in spaventose macchine mangiasoldi, in precondizioni per il fallimento di un intero territorio regionale. Il fattore di “freno”, il minimo comune denominatore si trova nello sciagurato destino della Calabria di non avere avuto una classe dirigente seria e attenta, ma troppo presa a compiere, avallare e difendere “mere operazioni finanziarie”, per riperpetuare se stessi, le proprie rendite di posizioni, la visibilità, la cristallizzazione dei ruoli, dei nomi e dei cognomi. Il tutto diretto a garantire ad libitum gli interessi delle lobbyes, quelli che tengono al cappio quel 30% di consenso bloccato e che decide con chi andare al governo della regione, quel gruppo trasversale che alimenta la vitalità della casta e che nel territorio ha irreversibilmente compromesso il sistema economico, modificato l’assetto urbanistico e l’identikit del cittadino medio, fino ad invertire la scala dei suoi bisogni. Mi si può dire che è il segno dei tempi, di una nuova modernità! Ma io che sono antica e legata a vecchie scale valoriali, credo che abbiamo assistito a scelte di politica economica scellerate e predatorie del territorio, adottate per il cinico obiettivo di consolidare il potere politico ed economico di alcuni e non perché si voleva realizzare una proposta politica al passo con i tempi. E accanto ai parchi eolici cui lei faceva puntuale riferimento, i paradossi in Calabria non mancano. E allora accade ed è accaduto che le società di servizi, le società miste e consortili che in Calabria, come altrove, che dovevano ridurre i costi di gestione, ottimizzando il servizio, educando alla cultura del riciclo, del riuso e della raccolta differenziata, hanno quasi ovunque tradito lo scopo sociale e sono fallite per l’uso improprio della struttura giuridica ed economica in favore delle esigenze elettorali personali di alcuni. E ad ognuno di queste società miste corrisponde il nome di politico di turno la cui carriera politica è cresciuta proporzionalmente all’indebitamento delle stesse. Ma mi riferisco anche alle di leggi regionali che, piuttosto che puntare alla difese delle piccole e medie imprese di produzione di beni e servizi, sparse nei centri storici calabresi, hanno preferito la difesa delle multinazionali consentendo la nascita di tanti, troppi, centri commerciali che hanno impoverito le nostre città, accelerato in modo innaturale lo svuotamento dei centri storici, annientando la piccola e media distribuzione i cui titolari di impresa ed i loro figli, oggi, nella migliore delle ipotesi, sono diventati commessi part time e precari dei vari centri sparsi tra Castrovillari e Cosenza, tra Lamezia-Catanzaro-Crotone, tra Vibo Valentia e Reggio Calabria passando per la Piana. Penso con tristezza ai centri storici e alle tante cittadine che ormai, negli ultimi 10 anni, sono diventati spettrali dormitori, dove in pochi si ostinano a passeggiare sui corsi deserti, a entrare nei cinema vuoti, consumando qualche amaro caffè nell’ultimo bar dello sport rimasto aperto. La vita, la proposta culturale, il nuovo style of life lo trovi nei centri commerciali dove, speculazioni e interessi economici e politici, hanno spostato il motore economico della Regione. Sì proprio lì, al centro commerciale, tra ascensori e scale mobili, tra avvicendamenti societari e cambi di proprietà, fallimenti, concordati e confische. Si proprio lì, dove incassano a pronti e in contanti e pagano, quando pagano, a 12 mesi. Mi riferisco a tanti lavoratori a progetto che attraverso le società interinali non sono stati attratti nel mondo del lavoro privato, nella produzione agricola, nell’offerta turistica, nei nuovi investimenti, nelle nuove e vecchie economie per imparare mestieri, sviluppare talenti e creare nuovi lavori. Ma sono stati fagocitati come in una leucemia sociale fulminate nella trimestralizzazione, nel cappio al collo del “voto” contro “rinnovo del contratto”. E tutti collocati nello stagnante e paludoso pubblico impiego, in progetti inverosimili, in una nuova proliferazione di precariato d’élite e quindi, nell’anticamera di una nuova stabilizzazione senza titoli e senza concorsi. Oppure all’interno di servizi essenziali e delicatissimi come la giustizia, la registrazione e traduzione degli atti di udienza, delle intercettazioni. Mi riferisco al fallimento del sogno telematico calabrese, alla mancata trasformazione dell’offerta universitaria in centro di attrazione per investimenti privati e produzione in innovazione tecnologica, alla perdita clamorosa e netta della possibilità di trasformare la Calabria nella Silicon Valley d’Europa. Tutto ciò, e tanto altro ancora, sanità e trasporti in testa, ma ne parlerò in un’altra occasione, non può essere il segno di un fallimento incidentale. Ma è il frutto del deliberato calcolo di una classe dirigente che può continuare ad imperare con la destra o con la sinistra, dividendo, isolando ed impoverendo l’economia collettiva, foraggiando quella di qualche singolo imprenditore che ricambia lautamente, in cambio di leggi di favore, regolamenti addomesticati, finanziamenti fuori bando, assunzioni fuori concorso eccetera eccetera. Ed ecco il perché dell’uso del Partito come azienda, come capogruppo, capofila di una struttura economica finanziaria che gestisce i vari settori. Praticamente una Holding in cui i tesserati/iscritti sono stati gli azionisti e l’azionista di maggioranza è colui che decide. Tant’è che le Opa in Calabria si lanciano solo per acquistare il controllo dei partiti di governo, o che possono diventare tali. Mai per acquisire il controllo di un’impresa.

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