X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

Di NINO D’AGOSTINO La decisione della giunta regionale, riguardante provvedimenti di riduzione della spesa sanitaria per 30 milioni di euro, ha scatenato molte polemiche: si è contestato il metodo e il merito dei tagli da apportare, mostrando sorpresa per un intervento ritenuto così duro in un settore in cui finora si è sempre sostenuto esservi virtuosità quantitative e qualitative.
L’assessore alla sanità, Martorano, ha evidenziato una situazione che era dietro l’angolo e che gli addetti ai lavori si sono sempre rifiutati di vedere: sulla sanità lucana pendeva e pende tuttora la spada di Damocle del commissariamento, avanti ad un deficit strutturale dei conti in questione che si è attestato (per restare agli ultimi anni) nel 2008 in un risultato di esercizio negativo, pari a -34,7 milioni di euro, nel 2008, a-21,8 nel 2009 e che prevede una perdita di poco meno di 38 milioni di euro nel 2010.
Di qui l’urgenza delle misure adottate per restituire credibilità alla regione Basilicata, nell’ottica di definire un possibile e sostanziale piano di rientro del deficit che è -si ribadisce-strutturale.
Si comprendono le rimostranze sul mancato confronto con i soggetti interessati, ma la necessità di dimostrare la volontà di mettere mano ai conti della sanità con tempestività ha una sua fondata ragion d’essere. Ci sarà, comunque, tutto il tempo per aprire un confronto sulle politiche da varare per affrontare in maniera organica il settore.
Siamo solo all’inizio di un processo, ormai ineludibile, di razionalizzazione della sanità lucana. Martorano, con coraggio ed onestà intellettuale, poco usuale tra i politici di professione, ha parlato dei tagli in discussione, come “male minore”.
Ridurre le spese farmaceutiche mi sembra doveroso ( la Basilicata ha registrato una delle crescite più alte, 3,7% nel 2009, della spesa convenzionata), così come mi sembra azione preventiva bloccare il turn over delle assunzioni del personale ospedaliero, in attesa del riordino della rete ospedaliera, e contenere il tasso di ospedalizzazione, a vantaggio del potenziamento dell’assistenza domiciliare.
La Basilicata ha un sistema sanitario incentrato sugli ospedali: ve ne sono ben 17 a fronte di una popolazione servita di meno di 600 mila abitanti. Risente di un modello sanitario alquanto superato, distante, com’è, dalla moderna concezione di tale servizio, basato su pochi ospedali, contornati da reti territoriali di prevenzione e filtro.
Abbiamo in sostanza un sistema sanitario che costa molto (oltre un miliardo di euro all’anno) e produce servizi di qualità, complessivamente non certo eccelsi ( l’alto tasso di emigrazione sanitaria lo testimonia).
Anche in questo settore si è badato a moltiplicare personale (medico, paramedico ed amministrativo), più che ad assicurare servizi utili per la comunità.
La rete ospedaliera ha svolto la funzione di struttura di veicolazione del consenso elettorale, più che di servizio sanitario vero e proprio.
In non pochi casi, gli ospedali sono serviti per alimentare i medici-politici ( basta guardare la corposa rappresentanza di medici all’interno della regione, delle province e dei comuni).
Tra l’altro, scontiamo scelte localizzative e funzionali degli ospedali molto discutibili, fatte in passato: è stato un grave errore insediare l’ortopedia a Pescopagano, ossia prevedere il centro regionale per tali servizi in una delle località più inaccessibile e periferiche della regione, dove, tra l’altro, non vi sono servizi ricettivi di supporto, è fuori di ogni logica avere il reparto di rianimazione a Melfi e l’Utic a Venosa, è antieconomico mantenere aperte modeste strutture ospedaliere che sopravvivono, alimentando “ricoveri impropri”, ossia non giustificati da esigenze sanitarie, ma utili per documentare statisticamente la validità di un ospedale, stiamo discutendo da anni sulle strutture ospedaliere di Lagonegro e di Maratea e del futuro ospedale unico della zona.
Pensare di ridurre il numero delle ASL, portandole da cinque a due, non ha risolto il problema, perché non si è voluto affrontare il vero nodo della sanità regionale che riguarda l’abnorme numero di ospedali. E’ lì che si annida la maggiore spesa. E’ lì che prima o poi si dovrà fare i conti per rispettare i vincoli finanziari, attualmente molto elevati.
Occorre fare un monitoraggio approfondito sulla distribuzione della rete ospedaliera regionale, sul suo funzionamento, sulle ragioni dei risultati negativi finora conseguiti
Si prospettano, dunque, tempi duri per la Basilicata, altro che soppressione del servizio della disponibilità telefonica dei medici.
Dovremo smettere di pensare che sia giusto avere sotto casa un ospedale, l’ufficio postale, il liceo, l’università e così via: occorre fare i conti con le risorse disponibili, l’utenza realmente mobilitabile, la managerialità da garantire.
Nella sanità, dovremo a breve ( c’è una commissione tecnica al lavoro a supporto della Conferenza Stato-regioni, in questa direzione) misurarci con puntuali percorsi di convergenza dei costi e dei fabbisogni standard, avendo come riferimento le performance delle regioni più efficienti (Lombardia, Emilia, ecc.), una condizione molto distante da quella lucana, al netto delle autoreferenzialità sempre forti in questo come in tanti altri settori di attività pubblica che caratterizzano la regione.
Si peseranno tutte le spese sostenute e saranno previsti controlli e sanzioni.
Lo spreco forse non sarà più tollerato ed è augurabile che ciò possa rappresentare una delle occasioni di svolta nella spesa pubblica che abbatta la spesa “facile” quanto improduttiva economicamente, ma proficua politicamente e accresca quella finalizzata a creare un contesto positivo per lo sviluppo sociale ed economico, condizioni entrambe, di cui la Basilicata e più in generale l’intero Paese hanno estremamente bisogno.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE