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di FRANCO LARATTA
E così finalmente il Paese l’ha capito: la ’ndrangheta non è solo e soltanto una questione calabrese. Come la camorra non appartiene solo a Napoli e dintorni, e la mafia solo alla Sicilia. In più occasioni è stata lanciato l’allarme da bravi magistrati inquirenti, da giornalisti competenti, e da quanti al fenomeno malavitoso dedicano tempo, studio e approfondimenti. In Commissione parlamentare antimafia l’ho sentito dire più volte. E più volte è stato lanciato l’allarme sulla diffusione del fenomeno mafioso in tutta Italia. Eppure, per la grande informazione, per “quelli del Nord”, per qualche prefetto lombardo, la ’ndrangheta era e rimaneva una vicenda tutta calabrese, al massimo meridionale. Una organizzazione che gestiva territori, e al loro interno affari, malaffare e appalti. Ma tutto in salsa calabrese. In realtà, le famiglie della ’ndrangheta calabrese erano già in affari nel Lazio, soprattutto a Roma, in alcune regioni del centro Italia. Da anni facevano importanti investimenti, acquistavano grandi ristoranti, alberghi di lusso, catene commerciali con i soldi sporchi di sangue, droga, armi e tratta dei moderni schiavi. Imponevano le loro regole all’impresa, dettavano tempi e modi nel commercio e nell’economia. Entravano in contatto con la politica che conta, trovavano strade aperte per il controllo di pezzi importanti dell’economia del centro Italia. Poi, con il passare del tempo, le famiglie mafiose calabresi sono sbarcate in altre regioni: in Emilia, Piemonte, Veneto, Liguria, soprattutto in Lombardia. E al Nord, la tradizionale forma di mafia “orizzontale”, quella che federava clan e famiglie organizzate, diventa subito una vera e propria cupola, con un’organizzazione piramidale che non ha precedenti. Con i vertici a decidere operazioni strategiche, interventi, investimenti. E fa affari importanti, penetra nelle istituzioni del Nord (dalla parte della Lega -che da 20 anni controlla il Nord e le sue regioni, province e comuni – nessuno sa niente? Possibile mai?) Assolda centinaia di persone, punta a Expo 2015, entra nella sanità, nelle cliniche, negli appalti, nell’edilizia, nel controllo dell’immigrazione, nell’agricoltura La cupola, quindi, non è più “cosa calabrese”, cosa nostra, da anni ormai. E ora lo sanno tutti, e cominciano ad avere paura. La nostra ’ndrangheta si è evoluta, è diventata ricca e potente, da questa grande crisi economica e finanziaria uscirà ancora più forte grazie al controllo di centinaia di aziende in crisi. La cupola è ormai un’emergenza nazionale. E come nel Sud ha saputo infiltrarsi nelle istituzioni, nella politica, nell’economia, altrettanto ha fatto nel Nord. Mafia, politica, impresa: un grande accordo per fare affari insieme, per confermare il controllo sugli apparati pubblici, sulle istituzioni, per conquistare fette importanti del mercato, degli appalti, dei grandi affari economico-finanziari nazionali e internazionali. La cupola Spa è adesso al centro dell’interesse nazionale. In un Paese prostrato dalla corruzione, dalle cricche, dai grandi affari illeciti, non sarà facile estirpare la mala pianta della malavita organizzata che cresce, si sviluppa, colonizza nuovi e ricchi territori. Il Paese, del resto, è stanco, non ha voglia di reagire, di scandalizzarsi, di mettere in circolazione potenti anticorpi sociali e culturali in grado di espellere il male. Il Paese guarda con uno sguardo sbalordito, attonito, il livello di degrado morale che ha colpito lo Stato, le sue istituzioni, gli uomini di governo. Ma dobbiamo necessariamente creare un clima di solidarietà e sostegno a quanti lottano da anni contro la cupola calabrese, oggi cupola nazionale, contro tutte le forme di mafia e corruzione. Va creato un clima sociale più forte, più vivo, più deciso nel respingere il malaffare e la corruzione devastante che è penetrata in ogni dove, che si nasconde perfino nel governo del Paese, tocca in profondità partiti, istituzioni e pezzi dello Stato, lambisce perfino la chiesa, la magistratura, le forze dell’ordine. Un esempio, forte, fortissimo, dovrebbe venire dallo Stato, dalle sue Istituzioni, dal governo. A esempio facendo dimettere gente come il potente sottosegretario Cosentino e qualche altro suo collega, quei parlamentari condannati a 7 e 9 anni di carcere (Dell’Utri, Cuffaro e company), quei potentissimi uomini ai vertici dei partiti che risultano chiaramente coinvolti in affari loschi e illeciti. Un segnale come questo, al di là della condanna penale passata o no in giudicato, sarebbe un grande gesto di civiltà, di democrazia, di pulizia. E suonerebbe come un campanello d’allarme per quanti occupano partiti, governi nazionale e regionali e istituzioni per fare affari, per costruire imperi e per perpetuare il loro potere. Sarebbe un bel segnale per quei magistrati coraggiosi (Bocassini, Pignatone, Gratteri e altri) e per le forze dell’ordine che, in battaglie come questa contro la cupola e le mafie, rischiano in ogni istante la loro vita!

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