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di MIMMO TALARICO*
Già il primo Tremonti, quello della finanza creativa, se n’era uscito con la bizzarra quanto pericolosa trovata di vendere le spiagge, per fare cassa. Allora non gli riuscì, anche perché – spesso lo si dimentica, ma si sbaglia – anche il precedente governo Berlusconi fu caratterizzato da dissidi e baruffe interne al centrodestra, e Berlusconi fu costretto per un certo periodo a congelare il suo fido economista, per qualche tempo posto addirittura sotto la tutela di Gianfranco Fini. In questa legislatura Tremonti ci riprova, con più abile costruzione, provando a far rientrare il piano nel più complessivo disegno del federalismo, e cedendo le spiagge non ai privati ma ai Comuni. Ora, è auspicabile che gli enti locali raccolgano la sfida con senso di responsabilità, e piuttosto che puntare a far cassa per recuperare i ridotti conferimenti economici, si preoccupino della tutela del loro patrimonio paesaggistico e ambientale e dei bisogni dei loro cittadini. Ma non c’è da essere ottimisti; e c’è da attendersi invece che, in molti casi, si radicalizzi quella tendenza già in atto, di privatizzazione delle spiagge e del mare. Fenomeno che, iniziato in Versilia e nel Lazio, si sta rapidamente espandendo in molte spiagge calabresi. Sia lungo il Tirreno che lungo lo Jonio, stiamo assistendo a una lottizzazione delle spiagge aggressiva, invasiva e selvaggia. File interminabili di ombrelloni tutti uguali, stazioni di ingresso ed esazione di un pedaggio da parte di questi signori che hanno ottenuto le licenze di utilizzo in forma di lido privato in base a criteri spesso dubbi e discutibili. E poi, cosa offrono questi lidi? Il solito pacchetto obbligatorio “sedia più ombrellone”, a prezzi spesso esosi. In cambio, hanno trasformato il litorale in un continuum di impalcature, palafitte, recinti e manufatti, che solo in alcuni casi si armonizzano con il contesto ambientale. In più, i malcapitati bagnanti, in assenza di accessi al mare, ormai chiusi al pubblico, sono costretti a lunghi giri in cerca di qualche fazzoletto di spiaggia libera. Per il resto, di una politica di promozione del turismo finora neanche l’ombra. Il mare continua in molti casi a essere impresentabile, con la sua spuma scura puzzolente che da molti anni perseguita i nostri bagnanti come la nuvola di Fantozzi. Gli alberghi sono pochi e poco attrezzati, i ristoranti spesso troppo cari, il turista è sovente abbandonato a se stesso e raramente ritorna l’anno successivo. Per non parlare della pioggia di sagre e concerti e spettacoli, spesso generosamente sostenuti dalla Regione ma rispondenti soltanto alle esigenze di visibilità degli amministratori locali e mai raccolti in un piano organico che possa fornire una convincente proposta aggiuntiva per chi sta ragionando se trascorrere o meno le vacanze in Calabria. In questo quadro si inserisce, nella nostra Regione, anche la mancata adozione, da parte della stragrande maggioranza dei comuni costieri, dei Piani spiaggia, in attuazione della legge regionale n.17 del 2005. Un’altra occasione mancata per affermare il principio di una razionale, organica e sostenibile gestione del territorio, nella fattispecie della preziosissima risorsa mare. Com’è noto i Piani di spiaggia, in coerenza con gli indirizzi dettati dalla Regione, servirebbero da un lato a stabilire criteri generali e organici per la concessione di autorizzazioni in materia di esercizi commerciali, stabilimenti balneari, campeggi e strutture sportive, dall’altra a indicare specifici vincoli e zone di rispetto per evitare danni al paesaggio e all’assetto idrogeologico del territorio. Di fronte all’inadempienza dei Comuni ad adottarli nei tempi stabiliti dalla legge, la nuova giunta regionale che fa? Anziché nominare un commissario ad acta, cambia la legge e dà facoltà ai Comuni di rilasciare, in assenza di un’organica pianificazione, nuove autorizzazioni per strutture alberghiere, villaggi turistici e altre attività ricadenti nel loro territorio. Si può agevolmente convenire che tale scelta, in una regione come la nostra segnata da gravi problemi ambientali, è latrice di un’idea nefasta del governo del territorio. Certamente non contribuirà al miglioramento delle precarie condizioni della nostra industria balneare, che, malgrado i proclami, continuerà a fregiarsi, e chissà per quanto tempo ancora, dei suoi titoli di sempre: improvvisata e caotica, rabberciata e inefficiente. E così, mentre la privatizzazione e l’assenza di regole impoveriranno e dequalificheranno ancora di più il settore del turismo balneare nella nostra regione, sul versante del mare in quanto tale rimarrà inesorabilmente la sua cupezza, dovuta a scarichi fognari irregolari, e la sua copertura di verità censurate; quelle, per intenderci, delle navi perdute e dei veleni interrati, che, ovviamente, mai e poi mai si dovranno riportare in superficie. Si spera almeno che in queste settimane, Regione, Comuni e autorità marittime attuino i necessari controlli per rendere i nostri mari più accoglienti e ospitali.

*consigliere regionale Idv

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