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di LEO AMATO
POTENZA – «Lo ammazzo». Ripetuto più e più volte al telefono con un amico proprio un attimo prima dell’aggressione, quando ha tirato fuori il coltello e ha cominciato a colpire come una furia all’uscita di una nota discoteca di Potenza.
E avrebbe ucciso davvero se la sua vittima – un ragazzo corpulento che lavorava lì come buttafuori – non si fosse difeso in qualche modo, deviando quei fendenti sulle sue gambe e rimediando una prognosi di 20 giorni.
È la tesi contenuta nel nuovo atto d’accusa contro Maurizio Pesce – 33 anni appena compiuti di Pignola -, un’ordinanza di custodia cautelare che gli è stata notificata ieri mattina nel carcere di Betlemme, a una settimana dalla scadenza dei termini di custodia partiti proprio il giorno del suo arresto, subito dopo quell’aggressione, per lesioni gravi e porto di arma illegale.
Tecnicamente si tratta di una nuova formulazione del capo d’imputazione per il medesimo fatto storico, e in sostanza comporta che la durata della misura cautelare venga prolungata di altri sei mesi, sempre se nel frattempo non dovesse intervenire una richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm che si sta occupando del caso.
A condurre le indagini gli agenti della Squadra mobile di Potenza che nelle scorse settimane hanno compiuto una serie di attività volte a scoprire tutti i retroscena del fattaccio.
Dalle carte sono emersi immediatamente i precedenti di Maurizio Pesce, sempre per reati contro la persona, ma a un esame più approfondito non è sfuggito che i due, Pesce e quel ragazzo che faceva il buttafuori, avrebbero avuto diversi screzi anche in precedenza.
Sospetti anche sull’incendio dell’autovettura che apparteneva alla vittima dell’aggressione, avvenuto in circostanze ancora da chiarire.
In almeno un’altra occasione i due sarebbero già venuti alle mani, poi lo scontro sulla pista da ballo del 2 maggio scorso per futili motivi, e la “lezione” nel parcheggio dove Pesce si sarebbe appostato in compagnia di un amico, sempre di Pignola, arrestato in sua compagnia mentre cercava di darsi alla macchia dopo che si erano liberati della lama.
Lì nel parcheggio Pesce avrebbe atteso che il suo rivale uscisse per andare a casa dopo la chiusura del locale, e gli avrebbe teso la sua trappola mortale.
A descriverlo con precisione ci sono le telefonate intercettate dagli agenti della Squadra mobile che già stavano monitorando quelle utenze per un’altra indagine molto delicata su alcuni giri strani tra i “ragazzi” del paese.
Il “grande orecchio” proprio in quei frangenti avrebbe registrato numerosi agganci tra cellulari, e il tentativo di alcuni degli amici di far desistere Pesce da quel proposito assurdo, che tuttavia non sarebbero valsi a nulla.
«Ora lo ammazzo» sarebbero state le sole parole dette e ripetute in tono a dir poco concitato, e seguite dopo poco dall’aggressione.
Quanto basta, in conclusione, perchè l’accusa si tramuti da lesioni aggravate a tentato omicidio, anche con l’aggravante della premeditazione, per cui la pena prevista dal codice è di almeno 16 anni di reclusione.

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