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PALAZZO SAN GERVASIO – Vivono, o meglio sopravvivono, in condizioni disumane. Pareti di roccia per casa, giacigli ricavati da vecchi materassi e reti arrugginite, senza servizi igienici, nè acqua corrente. Sono in 25 e vengono dal Burkina Faso, con regolare premesso di soggiorno. Come l’anno scorso sono arrivati a Palazzo San Gervasio in primavera per la raccolta del pomodoro. Quel rifugio, il luogo dove hanno trovato provvisoriamente abitazione, l’hanno soprannominato “Grotta Paradiso”. E invece è l’inferno, le immagini non mentono. Ora, però, neanche qui potrannopiù fare ritorno la sera, dopo una pesante giornata di lavoro nei campi. I carabinieri li hanno fatti sgomberare dopo la riunione del comitato di Schengen, che si è tenuta non più di due settimane fa, nel paese lucano ai confini con la Puglia.
«Palazzo non diventerà una seconda Rosarno», era stato detto in quell’occasione. Ma, senza centro d’accoglienza, ora che è boom di presenze, con circa un centinaio di lavoratori immigrati giunti per lo più dall’Africa nera (ma c’è anche qualche cittadino bulgaro) si rischia l’emergenza. Per ora si sono spostati e hanno trovato rifugio in grotte nel territorio compreso tra i comuni di Palazzo San Gervasio e Spinazzola. Ma la soluzione, chiaramente, è solo provvisorio, fino al prossimo sgombero, com’è successo ai 25 cittadini del Burkina Faso, di età compresa tra i 18 e i 40 anni, arrivati a Palazzo in primavera. Anzi, per loro le cose sono andate anche peggio. Perché oltre a non avere un tetto si sono ritrovati anche con una denuncia. Come l’anno scorso, arrivati in paese, erano andati ad abitare nel centro di accoglienza. Struttura che, però, a ottobre del 2009 era stata sgomberata con ordinanza del sindaco, poi prorogata al mese successivo. A maggio scorso, dopo aver effettuato le operazioni ordinate i carabinieri di palazzo hanno provveduto a denunciare i 25 cittadini del Burkina Faso, tutti di sesso maschile. Per la legge hanno violato gli articoli del codice penale per “invasione aggravata di edifici pubblici” e “inosservanza all’ordinanza sindacale” che disponeva la chiusura del centro d’accoglienza. Ma c’è chi non ci sta. L’associazione “centro di documentazione Michele Mancino” e Nicola Montano, a titolo di privato cittadino, hanno redatto e depositato presso la Procura della Repubblica di Melfi una deduzione, in difesa dei cittadini immigrati denunciati. «Appare evidente – scrivono nel documento – che hanno agito in stato di necessità per far fronte a diritti personali e inderogabili, necessità costituzionalmente garantite».
«Ancora una volta – scrivono ancora – l’inefficienza e l’inadeguatezza della macchina amministrativa ha scaricato il peso sui più deboli, su chi, lontano da casa, famiglia, affetti, tradizioni, terra patria viene vessato e disconosciuto come essere umano, ridotto a una condizione assolutamente insopportabile per chi la subisce e indecorosa e vergognosa per un popolo e una nazione come la nostra che sulla propria pelle ha vissuto il dolore dell’immigrazione.
Il documento sottoscritto e consegnato in Procura sottolinea anche come non sia emerso se i cittadini extracomunitari fossero a conoscenza o meno dell’odinanza violare e del reale contenuto della stessa. «Si tratta infatti – si legge – di individui non inseriti nel contesto sociale e che, il più delle volte, non conoscono la lingua italiana e, quindi, non sono e non possono essere pienamente consapevoli delle proprie azioni.
Mariateresa Labanca

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