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di FRANCO CIMINO
Ad Afragola crolla una casa. A Mileto, archeologi appassionati e volontari generosi stanno riportando alla luce case millenarie. Tutto accade nello stesso giorno del terzo millennio. Siamo nel Mezzogiorno delle radicali contrapposizioni. Civiltà e inciviltà, storia antica e presente, si scontrano nella stessa mano dell’uomo che fabbrica le cose. Negli Stati Uniti il presidente Obama si congratula con Sergio Marchionne per il rapido “grande lavoro” di risanamento dell’industria automobilistica americana. Salva la produzione. Salvi migliaia di posti di lavoro, nell’ottimo rapporto instaurato dal “socialista” Obama tra pubblico e privato, solidarietà e mercato. Tra produzione e occupazione, capitale e lavoro. In Italia, nella settimana appena conclusa, Marchionne dichiara di voler chiudere lo stabilimento di Termini Imerese, dopo aver imposto ai lavoratori di Pomigliano d’Arco nuove regole e nuove severe condizioni. Siamo nel Sud. Tra detto e non detto, Governo e politica, impotenti, esprimono delusione e risentimento. Anche in considerazione delle notevoli risorse che lo Stato ha impiegato per supportare la crisi del colosso automobilistico nazionale. Marchionne l’italiano è lo stesso di quello d’oltreoceano. E la Chrysler è ormai considerata l’altra faccia della FIAT. Tra cielo e mare, sullo sfondo, la questione morale più inquietante dai tempi di Tangentopoli. In questa Italia, a conclusione della stessa settimana, si consuma nel dramma l’incompatibilità tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, cofondatori di un partito mai nato, il Pdl. In verità, il primo è il vero inventore di una forma partitica che gli somiglia; il secondo, il leader politico che, avendo spinto troppo avanti la scelta di Fiuggi, si è trovato costretto a subirlo. Sta qui, in questo dato più che nelle diverse culture e sensibilità personali dei due, il motivo più autentico dell’inevitabile rottura. Certo, contano gli interessi in campo, le forze esterne che li ispirano. Contano le tattiche e gli obbiettivi che ciascuno intende perseguire, insieme alle finalità e alle strategie per raggiungerle. E, di certo, hanno peso le ambizioni politiche dei due. In Fini probabilmente anche il sospetto che il Cavaliere intendesse andare oltre il limite di tempo richiesto per la sua successione. Ovvero, che la stessa, il sovrano, l’avesse orientata verso altri nomi. Forse c’entra anche lo sguardo che il presidente della Camera dalle finestre di Montecitorio ha lanciato verso lo “studio delle vetrate” del Quirinale, dove gli eventi potrebbero ragionevolmente portarlo. Chissà, il dietrologismo, materia ormai da studiare nelle Università, potrebbe rivelarci dissapori più profondi nati su quel tavolo sbilenco del dosseriaggio e del ricatto, dove si confezionano e si usano notizie piccanti e rovinose sulla vita privata. Quanto tutto questo c’entri nell’odio al vertice del Pdl, non è dato sapere. C’entra sicuramente il come e il quando, da quel famoso predellino di un auto, sia nato quel partito. E come questo, dall’inizio, non sia mai stato il partito di Gianfranco Fini. Il leader di AN ha sbagliato a farsi mandare alla Camera dei Deputati e ora si ribella, a se stesso prima che al premier? Non ne sono sicuro. Fini ha scelto lo scranno più alto proprio perché avrebbe potuto liberarsi della umiliazione del secondo, dell’insopportabile numero due e, nel contempo, al riparo dell’alta carica, poter vigilare e condizionare la linea politica del centrodestra. C’entrano tutti o in parte questi elementi, ma di sicuro il primo. La nascita improvvisata di un partito diverso, modellato sulla persona del suo capo, la conseguente, radicale cancellazione dell’ultimo tratto della storia di An, la difficoltà di elaborare una linea politica ancorata a un pensiero universale e non aziendale, rappresenta la ragione vera della rottura tra Fini e Berlusconi. Già visibile nella durezza dello scontro “verbalmente fisico”, espresso in occasione di quella famosa direzione nazionale di tre mesi or sono. Berlusconi ha fatto bene a forzare la mano? Probabilmente, non aveva altra scelta. Intelligentemente, ha capito che il suo ex pupillo non scherzava affatto. Non faceva finta per accrescere la sua forza di interdizione. Sbaglia, però, a pubblicizzare, con il suo vecchio stile, la cosa come un piccolo affare interno. Una querelle assolutamente nella piena disponibilità della sua forza persuasiva e del suo carisma. Un fremito di follia, addomesticabile dalla potenza dei suoi numeri. Una tempesta d’estate, che con l’estate sparisce, aiutata dall’amico agosto che è da sempre il miglior alleato del potere. Il presidente del Consiglio ha nel cassetto qualche segreto sondaggio che lo conforta in queste ore? Che lo vuole più forte in un quasi certo rinvio alle urne, dove i suoi avversari si presenteranno più deboli che mai non potendo realizzare intese credibili e vincenti? Ha nella “rotativa” di qualche giornale amico notizie bomba da far saltare il banco e il suo improvvisato croupier? Vuole costruire intorno alla sua nota tecnica del vittimismo una tale confusione che distrarrebbe l’attenzione della gente dai gravi fatti giudiziari presenti e futuri, togliendo ad essi ed alle Procure che li muovono la forza del “consenso” popolare? E cosa succederà ora? Dell’imminente futuro è difficile prevederne i contorni. Ma, di quel che potrebbe accadere se si facesse una cosa invece che un’altra, si costruisse una strada invece che restare fermi, si pensasse al domani invece che all’oggi, questo tenteremo di spiegarlo in una prossima occasione.

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