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Danilo Restivo, il potentino di 38 anni accusato dell’omicidio di Elisa Claps, ha potuto a lungo farla franca «anche in virtù di ferree coperture che in ambito familiare gli sono sempre state assicurate». Lo scrivono i pubblici ministeri di Salerno, Rosa Volpe e Luigi D’Alessio, nel decreto con il quale hanno disposto la perquisizione dell’abitazione dei genitori di Restivo, Maurizio e Maria Rosa Fontana, eseguita a Casa Santa di Erice il 27 luglio scorso dalla polizia. Nel provvedimento, di tre pagine, sono indicati «i gravi indizi di reità « in base ai quali la Procura di Salerno sospetta che Danilo Restivo sia il responsabile dell’omicidio di Elisa Claps.
I genitori di Danilo Restivo – a lungo residenti a Potenza e da alcuni anni trasferitisi in Sicilia, loro terra d’origine – hanno sempre mantenuto in pubblico un atteggiamento schivo e composto: non hanno quasi mai rilasciato interviste, ma sono sempre stati premurosi nei riguardi del loro figlio Danilo, travolto da subito da sospetti inquietanti legati alla scomparsa di Elisa Claps. E anche ora continuano a seguire le sue vicende. Gli stessi pubblici ministeri di Salerno che oggi indagano sul caso Claps conclusero nel 2001 per la «mancanza di riscontri» e la «completa infondatezza» delle dichiarazioni di un pentito (poi processato per calunnia) il quale ipotizzò una corruzione da parte di Maurizio Restivo nei riguardi di Michele Cannizzaro, marito del ex pm Felicia Genovese, allora titolare a Potenza del caso Claps, perchè l’inchiesta fosse insabbiata. La vicenda fu archiviata dal gip di Salerno, che fece proprie le conclusioni della Procura, e ora non è neppure citata tra le «ferree coperture» che – secondo i pm – la famiglia avrebbe assicurato a Danilo Restivo. Al di là delle decisioni dei Restivo di allontanare Danilo da Potenza, gli inquirenti, tuttavia, continuano a dar rilievo ad almeno due particolari: un colloquio a quattr’occhi avvenuto tra padre e figlio, in casa Restivo, nelle ore immediatamente successive alla scomparsa di Elisa Claps; ed il rifiuto della famiglia, il giorno successivo, di consegnare alla polizia gli abiti (mai sequestrati) che il loro figlio indossava quel 12 settembre 1993 e che erano macchiati di sangue perchè – disse Danilo – egli si era ferito ad una mano cadendo in un cantiere di scale mobili in costruzione.

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