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di PIPPO CALLIPO
Chi ha paura della presenza della Guardia di Finanza in tutte le aziende sanitarie che da almeno un decennio bruciano risorse pubbliche, producono clientele e assistenzialismo? A mio avviso in Calabria – terra in cui la democrazia è in crisi profonda, dove prevale un esasperato e perverso scambio di voto, tra la peggiore politica d’Europa – benché sia la più pagata – e gli istinti più retrivi dell’elettore che, a causa dei bisogni inappagati è disposto a cedere diritti in cambio di assistenza e clientela – lo Stato non deve ritirarsi. Piuttosto, se non vuole consegnare un’intera regione alla mafia ed al sottosviluppo, deve iniziare a mettere in agenda il “caso” Calabria, che è ormai una polveriera sociale pronta ad esplodere. Se il Governo avesse a cuore per davvero l’Unità del Paese, al di là dei fiumi di retorica, dovrebbe essere assai più presente in Calabria. E non soltanto con il ministero degli Interni e una politica repressiva, ma anche con un “progetto Paese” di cui il Sud dovrebbe essere parte integrante. Tuttavia, per stare sull’argomento sanità, io credo che i cittadini non solo non temano la Guardia di Finanza, ma si sentano rassicurati da una presenza così autorevole e incisiva dello Stato (vista tra l’altro l’immensa sfiducia verso la classe politica e burocratica) in uno dei settori che prosciuga l’80 per cento del bilancio della Regione e che, spesso, è terreno d’incontro tra cattiva amministrazione, politicanti e criminalità. Commissariare la sanità è stato un atto obbligato. Che, semmai, ha il difetto di arrivare tardi e sulla scorta di una serie di assurde confusioni, ad incominciare dall’esatta quantificazione del debito. Un direttore del dipartimento dell’assessorato, pagato profumatamente ma neanche in grado di esporre al nuovo presidente della Regione le esatte cifre del debito, l’avrei licenziato su due piedi! Il commissariamento della sanità, in realtà, un Governo serio, avrebbe dovuto, come pure io avevo chiesto, effettuarlo mesi prima della campagna elettorale, anche in coerenza con un principio fondamentale inserito nella legge delega sul federalismo: l’ineleggibilità dei politici che sfasciano la sanità. In effetti sulla base di che cosa i calabresi sono andati al voto? La sequenza “vedo/voto/pago” ( passaggio cruciale nella relazione sul federalismo fiscale del Governo) e “se non vedo, e se vedo ciò che non va bene allora non voto”, è stata, in Calabria, vanificata dallo stesso Governo il quale, incomprensibilmente, ha permesso nella nostra regione che tutto precipitasse senza assumere mai nessun provvedimento. Misteri del trasversalismo! Essere andati al voto in Calabria, a marzo scorso, senza che i calabresi avessero chiaro l’ammontare del disastro nella sanità, ha consentito due anomalie: a) che una parte della classe politica responsabile del disastro, venisse ricandidata e tornasse in consiglio regionale; b) che la parte politica uscita vittoriosa dalle elezioni non sia stata obbligata a spiegare sulla base di cosa, con quali idee e programmi, chiedeva il consenso ai calabresi. Abbiamo visto, e proprio il commissariamento ne è la testimonianza documentale, che non basta ripetere slogan, promesse e frasi fatte per essere diversi dai predecessori e conquistare la fiducia dei cittadini. Se il Governo ha sottratto sovranità alla Regione, proprio quando il federalismo in Italia entra nella sua fase più matura, è perché il Governo non ha avuto fiducia della Regione Calabria. Non ci sono altre spiegazioni. Si tratta di una considerazione elementare su cui vale la pena soffermarsi, nella speranza che il meccanismo politico trovi in sé la forza di riformarsi almeno in parte, perché se così non fosse, tra cinque anni, a parti invertite, gli sconfitti di oggi torneranno a vincere. Soltanto che allora della Calabria potrebbe non rimanere più traccia. Altro che cultura millenaria e ricchezze naturalistiche! Se l’andazzo è quello di sempre, la Calabria diventerà a breve, anche a causa della crisi economica e finanziaria, un deserto sociale e produttivo. I dati di cui disponiamo sono impressionanti. I processi di deterioramento riguardano la sfera produttiva come quella dei servizi socio-sanitari; competitività economica fragilissima e incapacità di attrarre investimenti nazionali ed europei; calo demografico; fuga dei cervelli e dei giovani verso altre realtà, disoccupazione galoppante e criminalità invasiva e prepotente. Ci sarebbe bisogno di una classe dirigente decisa a troncare cointeressenze con tutte quelli centrali che operano nel territorio con un solo fine: accaparrarsi risorse pubbliche. Ma della riqualificazione della spesa pubblica non ne parla più nessuno. D’altronde, se mancano i progetti e gli obiettivi, parlarne diventa solo fiato sprecato. Vedo la ricomposizione di vecchi assetti di potere che hanno solo depredato la Calabria. Non vedo ancora, per esempio, un inventario di tutti i beni immobili e mobili della Regione. Non vedo, almeno per ora, né una forte motivazione né un nuovo “Progetto Calabria”. La recessione e le conseguenze della pessima manovra economica del Governo ridurranno il protagonismo degli enti locali e quindi la nostra democrazia sarà ancora più debole. Mi stupisce che, dinanzi a questa caduta di interesse nazionale per la Calabria, riscontrabile con dati oggettivi e dinanzi alla polarizzazione degli squilibri che vedono la nostra terra ultima e sconsolata, non vi sia da parte dell’associazionismo sociale e culturale, a partire dai sindacati e dalle rappresentanze più vivaci della società civile, una reazione di pari grado. Occorrerebbe lavorare a una strategia di sviluppo della Calabria che mettesse al centro l’interesse generale e le forze migliori di cui disponiamo. Perciò mi rivolgo ai calabresi: abbiamo perso l’occasione che mi ero sentito di offrire esponendomi in prima persona: portare al governo della Calabria la società civile più appassionata e desiderosa di rinnovare lo status quo e cacciare la vecchia politica una volta per tutte. Ma ora, dinanzi al baratro che la Calabria ha dinanzi, non possiamo rassegnarci. Dobbiamo chiedere l’azzeramento della nomenclatura che specie nel centrosinistra tuttora spadroneggia, ma per ottenerlo non possiamo solo stare a guardare che tutto finisca in malora. Dobbiamo chiedere a noi stessi un maggiore senso civico, un impegno personale e la disponibilità a non cedere più diritti in cambio di favori. Non soltanto perché il negoziato è di per sé immorale, ma perché le condizioni obiettive del mercato e della pubblica amministrazione neppure lo consentono. Se non siamo disposti a interessarci della nostra terra e del suo triste destino, dobbiamo mettere nel conto la possibilità che la Calabria diventi una nuova Somalia, area di povertà inaudita e di mafie, di Stato inesistente e di prepotenze.

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