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di FERNANDA GIGLIOTTI*
Il nuovo consiglio regionale calabrese ha dimostrato che, quando vuole, il coraggio se lo fa venire anche nei primi 100 giorni. In poche ore ha licenziato un Piano casa disastroso facendolo passare come uno strumento di rilancio dell’economia edilizia e una risposta alle esigenze abitative dei calabresi. Una grande falsità, un insulto alle intelligenze delle persone. Come se l’edilizia e la ripresa economica fosse possibile solo con una nuova colata di cemento e non anche con la riqualificazione del territorio e la conversione e trasformazione del nostro “decrepito parcheggio delle terze e delle quarte case”, in una decorosa residenza popolare, in ricettività diffusa, in B&B, in ostelli per la gioventù, in alberghi diffusi. In realtà la legge approvata è un condono edilizio senza precedenti cha ha radici lontane e che è diretta esclusivamente a sanare gravi abusi già compiuti, ferite urbanistiche già inferte sul territorio. La legge consentirà, inoltre, una nuova “premiale” cementificazione selvaggia, perché il tutto si inserirà su costruzioni già abusive e già oggetto di pregresse sanatorie. Tutto questo in una delle regioni italiane che è tra le prime al mondo nel rapporto tra abitanti ed edificazioni e per aver consentito la cementificazione di paesaggi, di luoghi, di storia, sottraendo ai cittadini calabresi un patrimonio che non potrà essere mai recuperato. Da oggi, quindi, tutto potrà ancora accadere visto che le nuove costruzioni potranno realizzarsi sulla base di una semplice Dia (un’autocertificazione), senza il coinvolgimento e la responsabilità di un professionista, con la sicura e già sperimentata inerzia della polizia locale e degli Uffici tecnici comunali calabresi, troppo spesso complici consapevoli o impotenti, dello scempio urbanistico che in Calabria grida la vendetta dei mari, dei monti, delle coste, dei terremoti, degli smottamenti, delle alluvioni. Non un solo cenno a prescrizioni di responsabilità ambientale e di opportunità economica. Nemmeno un suggerimento. Eppure si poteva utilizzare questa occasione legislativa per rifare il look alla nostra regione, per iniziare anche qui da noi, al Sud, un vero recupero abitativo e residenziale dei centri storici “da vivere” e non solo “da visitare” nel loro desolante abbandono, lungo 11 mesi all’anno. Oppure si poteva iniziare una salutare e necessaria riqualificazione delle nostre marine che di selvaggio hanno ormai solo i pilastri di cemento armato e gli intonaci incompiuti. Perché non prevedere un incentivo per l’abbattimento del nostro “mostruoso novecento edilizio”, subordinandone la ricostruzione e l’aumento del volume all’impiego di tecniche di bioedilizia, all’uso di isolanti termici e acustici, all’installazione di nuove tecniche di risparmio energetico e applicazioni di impianti solari e geotermici? Quanta nuova economia si sarebbe riattivata e liberata se, per esempio, avessimo subordinato l’aumento di volume alla rimozione delle eternit e all’applicazioni di pannelli fotovoltaici, alla rimozione di quei brutti infissi in alluminio anodizzato che ci hanno sommersi negli anni ’80, al rispetto di un semplice piano di colore o anche alla realizzazione di verde in terrazze e giardini, o alla salvaguardia degli orti urbani? La legge approvata è dolorosamente in linea con la solita “furbizia del calabrese” che ha dimostrato di essere la causa della nostra povertà. È la storia di un popolo che sull’onda di un bisogno antico di una “casa”, nonostante l’odierno surplus di terze e quarte case sfitte per 11 mesi all’anno, si è costruito una casa abusiva che poi ha sanato e che oggi può ampliare e che, quando crollerà perché costruita su terreno franoso, sismico o alluvionale, il Bertolaso e la Protezione civile di turno gli ricostruirà altrove a spese della collettività. Ai nostri morti, però, nessuno ridarà la vita, nemmeno in deroga. E neanche ai nostri paesaggi. Del resto quanti dei nostri politici amano e conoscono veramente la Calabria? In quanti saranno coloro che, eletti nei consigli “della provvidenza politica regionale”, hanno investito i loro risparmi di una vita di lavoro e di sacrifici in questa regione? Quanti di loro hanno creato impresa privata in questa terra? Quanti fra loro hanno creato veri posti di lavoro e non stipendi a carico della collettività? E quanti hanno scelto la Calabria per viverci e per farci vivere i loro figli? E quanti hanno contribuito alla crescita sociale, economica e culturale di questa regione anche attraverso l’esercizio di un’arte, di una professione, di un lavoro, prima ancora che facendo politica? Saranno domande impertinenti le mie, ma non riesco a spiegarmi altrimenti questa mancanza assoluta di rispetto che la nostra classe politica dimostra di avere nei confronti della Calabria. Non c’è dubbio, comunque, che la legge è stata licenziata in una serata d’agosto da un consiglio regionale distratto e smemorato, tanto quanto il popolo che lo ha eletto. Evidentemente il ricordo delle tante, troppe, Cerzeto, Soverato e Maierato, sparse sul territorio calabrese si è affievolito per lasciare il posto al desiderio di lungomari scintillanti, pieni di locali e di movida. Tanto per piangere i morti c’è tempo. Riprenderemo a ottobre, novembre magari nelle nuove stanze, in quel 20 e passa % di cubatura in più che realizzeremo in deroga agli strumenti urbanistici e ai vincoli paesaggistici. E magari nomineremo commissario per l’emergenza lo stesso Scopelliti, già commissario della sanità, dell’emergenza ambientale e del turismo.

*consigliere nazionale Pd

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