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di GIANNI CARTERI
Con sorpresa e profonda amarezza leggo sul quotidiano del 1º settembre la circolare di Annibale Foresta che arrivò come preside nella scuola media di Platì nel settembre 1989 dove io lavoravo come segretario dal settembre 1981. È un intervento strano e certamente non impregnato di equilibrio, con tratti di invidia e cattiveria che a stento riesce a contenere e con tante inesattezze che meritano puntuali precisazioni. Dire che nella scuola di Platì c’era di tutto e di più è offensivo per chi come me ha lavorato per quindici anni. I colleghi che mi avevano preceduto mi lasciarono ben 6 bilanci consuntivi inevasi, contributi Inps non versati per ben 12 anni, graduatorie per supplenze inesatte e incomplete. La scuola era il refugium peccatorum per supplenze e per conseguire la licenza media da esterni. I primi tre anni per me furono devastanti, per la mole di lavoro (che portavo a casa e chi mi impegnava fino alle 11 di sera) e per le pressioni provenienti dall’esterno: c’era chi considerava quella scuola un feudo, un’appendice della propria scuola per poter sistemare amici e dare diplomi di licenza media ai clientes. Fu una battaglia durissima. Ricordo con quanto affetto il dottor Calogero, il dottor Del Pozzo, il provveditore Vincenzina Greco, sostennero i nostri sforzi e ci furono grati per il lavoro che andavamo completando. Mi sorresse la leale collaborazione della vicepreside Emilia Paglia, attuale dirigente della scuola. Certo, erano anni terribili, con una criminalità in forte espansione, con le famiglie che non curavano certamente il percorso scolastico dei propri figli. Spesso dovevo sospendere il mio lavoro ed entrare nelle classi più scalmanate. Allora si poteva dare qualche schiaffo, e i ragazzi (tranne tre o quattro che oggi dimorano nelle patrie galere) alla fine iniziarono a capire che lavoravamo per loro. Restava sempre una situazione di precarietà, per i presidi che cambiavano ogni anno, per la scarsa collaborazione delle famiglie, per l’assenteismo degli insegnanti (al 95% pendolari da Reggio Calabria), per i locali inadeguati ad accogliere una scuola decorosa. I sindaci del tempo (ricordo il compianto Mimmo De Maio e Natale Marando) quasi ogni anno sostituivano banchi e sedie, rimettevano a posto porte e tapparelle. A settembre ricominciava nuovamente la battaglia. Quando arrivò Annibale Foresta esposi questa situazione senza fronzoli, ma ebbe il torto di lasciarsi influenzare da persone che consideravano la scuola uno strumento per far quadrare il proprio bilancio famigliare. Dopo qualche mese cambiò atteggiamento nei miei confronti e non si curò delle mie condizioni di salute (la policitemia mi aveva già aggredito e avevo bisogno di tranquillità per affrontare l’enorme mole di lavoro). Doveva ritenersi fortunato. Le graduatorie di cui parla erano conformi alle norme di legge, vistate dal provveditorato nei punteggi. Per evitare ricorsi negli anni precedenti avevamo adottato la modulistica Spaggiari, segnando l’ora delle telefonate e le persone che avevano risposto. Altro che provvedimenti di auto-tutela amministrativa. Il provveditore Vincenzina Greco capì la situazione che si stava creando e per alleggerire la mia tensione mi assegnò la reggenza della scuola media di Marina di Gioiosa. Vi andavo tre volte alla settimana, lavoravo duro ma in tranquillità e feci più di 40 ricostruzioni di carriera. Restai in trincea e nel giugno 1990 venne a Platì l’ispettrice Antonella Ganeri per la visita prevista. Il preside non mi disse nulla dell’ispezione. Fu molto pignola con me e volle vedere bilanci, inventari e fascicoli personali. Alla fine rivolgendosi al preside Foresta esclamò: «Deve essere una fortuna e un piacere lavorare con questo segretario». Lessi sul viso di Foresta un moto di disappunto e di stizza: con me aveva perso la sua battaglia. Era doveroso fare queste precisazioni perché chi legge l’intervento di Foresta può farsi un’idea distorta della mia attività amministrativa. A proposito della mia denuncia sul mancato riconoscimento della gravità della mia malattia per godere dei benefici di cui all’art. 3, comma 3 della legge 104/1992, non mi pare di aver usato uno stile autocelebrativo e deamicisiano, impregnato di pavesismo. Chi mi conosce sa della mia sobrietà, della mia semplicità di vita e di scrittura. Ho semplicemente raccontato l’andamento di una visita che mi ha sconvolto per l’atteggiamento di alcuni medici. Caro preside Foresta, se amici e non, hanno voluto scrivere sul mio caso, certamente non da me sollecitati, è perché hanno capito l’assurdità della mia storia. Questi amici da tempo denunciano con forza lo stato della sanità calabrese e si contraddistinguono per le battaglie di democrazia che portano avanti danni. Altri forse scriveranno ancora. Ho ricevuto bellissime e-mail e lettere di solidarietà da gente comune, da Pippo Callipo e proprio ieri sera da Padre Giancarlo Maria Bregantini. Ho già provveduto a spedire denuncia con allegata rassegna stampa al dottor Giuseppe Carbone, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri. Continuo la mia battaglia per dare dignità a questa terra che amo nonostante tutto. So che è molto dura, ma arrendersi proprio ora sarebbe da vili. Dal preside Foresta mi sarei aspettato maggiore umanità, meno cerebralismo e bizantinismi. Stasera pregherò anche per lui. Finisce la novena in onore della Madonna di Polsi, che nella chiesa di Bovalino è stata accompagnata dalla presenza di Padre Stefano De Fiores, che ci ha incantati con le sue omelie. Così come ci hanno incantato il Rosario cantato e le vecchie nenie delle donne di San Luca in onore della vergine della Montagna, prima fra tutte “Bona sirata vi dicu a vui, Madonna”. Forse un cuore impregnato maggiormente di valori cristiani darebbe un volto e una coscienza nuovi a questa terra irredimibile e ai suoi paraninfi.

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