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di PIETRO SCHIRRIPA
Egregio direttore, come non aderire alla manifestazione di Reggio Calabria contro la mafia, ma come rendere convincente questa nuova adesione dopo 30 anni di “ recenti” manifestazioni. Per intanto si sono fatte strada due novità:
1) il contrasto contro la mafia ha conseguito sempre più numerosi successi, segnati da arresti, confische, condanne, soprattutto contro mafia siciliana e camorra;
2) molte organizzazioni della società civile si identificano sempre di più nella lotta e nei successi delle istituzioni nella lotta contro la mafia (soprattutto in Sicilia, ma anche in Campania e Calabria). A Reggio andremo dunque a serrare i ranghi di un esercito gioioso carico di vittorie? Forse no: a tutti è presente il pericolo, non solo di colpi di coda ma che un eventuale abbassamento della guardia provochi pericolosi ritorni della mafia, anche in grande stile. Infatti le radici e i prerequisiti della mala pianta restano intatti nella nostra società. Essi si chiamano disoccupazione e latitanza dello Stato; prassi cliantelare-assistenziale e autoreferenzialità dei gruppi dirigenti; individualismo familistico e inconsistenza del sistema educativo-scolastico; poteri oscuri burocratici-massonici e caduta dei valori etici e relazionali. La nostra terra (da 150 anni vittima di un progetto coloniale) non riesce a risolvere i suoi problemi, non riesce a decollare socialmente ed economicamente, non riesce a togliersi di dosso l’immagine di terra del male, dell’illegalità, della violenza, della sopraffazione. Ed ecco allora una possibile ricetta: più Stato, più potere ai prefetti, più procuratori, più poliziotti. Ma a queste cose è meglio aggiungere obiettivi sociali: lavoro, servizi efficienti ed uguali per tutti (anche per i non potenti e non amici), scuole eccettera. Dicendo questo a Reggio Calabria, chiariremo che a noi non interessa battere le mani solo ai notabili ed ai potenti, non ci interessa fare antimafia ed assieme Pon-sicurezza; non ci interessa ammiccare ai professori di cattedre di antimafia. Nella Locride, si sta affacciando, con sempre maggiore consapevolezza, un’altra “antimafia”: un’antimafia dal basso, che include quegli uomini del crimine piagati e piegati da tante ferite, che si fa carico dalla ribellione contro la omologazione criminale fondata sull’appartenenza a paesi “ sporchi” o a cognomi “ sporchi”. Agli occhi di un Bergamasco Locri è forse più “criminale” di Africo o San Luca. Ed, a ben vedere, quasi nessuno di noi, nei paesi, è immune da parentele, amicizie ed interfacce con qualche pregiudicato (a torto o a ragione). Per questo motivo abbiamo ragione di credere, nei territori di mafia, che sia meglio salvarsi tutti assieme. Altrimenti non si salva nessuno. Vittime e carnefici, giusti e criminali, mafiosi e onesti? Le vittime, i giusti e gli onesti guidino il carro e si trascinino tutti coloro che vogliono sperimentare percorsi di conversione, pace e legalità. Nel 2009 una cooperativa che opera nella Locride fu teatro di un importante momento di lotta contro ingiusti licenziamenti, intimati, in applicazione della normativa antimafia, a 16 donne, mogli o parenti in stretto grado di persone con precedenti penali. Le lavoratrici organizzarono un presidio di lotta e si rivolsero al Giudice del Lavoro contro i licenziamenti pretesi dalla Prefettura. La lotta e il giudice del Lavoro diedero ragione alle donne che furono tutte riassunte. Questo nucleo di lavoratrici era costituito da soggetti imparentati con famiglie mafiose rivali nel territorio – ebbene il lavoro prima e le fasi di lotta dopo agirono da collante e quelle donne diventarono amiche e solidali tra loro. La novità era grande: le donne, da elemento di memoria e di rinnovazione della faida, diventavano fattore di riconciliazione e di speranza progettuale. A Locri, antimafia ha significato e sta sempre più significando: crearsi il lavoro con le proprie mani contro ogni logica di appartenenza e di soggezione al clientelismo ed all’assistenzialismo; superare la marginalità di una cultura individualistica essendo consapevoli che un futuro di progetti di pace e di lavoro pretende di sperimentare la riconciliazione. A Reggio Calabria vorremmo affermare che bisogna usare il lavoro come simbolo per difendere e promuovere quella dignità che, anche agli ultimi e alle ultime, consegna una scintilla di speranza per il futuro. A Reggio Calabria speriamo che le cooperative e le associazioni siano il valore aggiunto per creare una manifestazione di popolo, perché tra la gente ci sono la forza e le idee per sconfiggere la mafia e cambiare la Calabria: insieme.

*CooperativaValle del Buonamico

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