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di ETTORE JORIO
Al di là dei toni utilizzati, nella sostanza Brunetta ha ragione. Così come aveva ragione Enrico Letta qualche mese fa allorquando ha sostenuto che il nostro Pil, al netto della Campania, equivarrebbe a quello della Germania. Dico questo con rammarico, ma è così. In Calabria, i numeri economico-finanziari sono i peggiori. Le condizioni dei servizi pubblici altrettanto. La ’ndrangheta, quale organizzazione egemone nel mercato internazionale della droga, impedisce ogni positivo cambiamento. La politica e la pubblica amministrazione sono entrambe inquinate dal malaffare. I giovani non trovano lavoro e chi ce l’ha rischia di perderlo. Per non parlare degli anziani che sono privi di una dignitosa assistenza. E non finisce qui. Ricorrere alla storia per difendere un tale stato di cose, francamente, serve poco. Fare la conta delle responsabilità fino ad oggi assunte dai governi nazionali che si sono succeduti non sarebbe conveniente per alcuno. Ripercorrere gli accaduti diventerebbe utile esclusivamente sul piano autocritico, per far sì che gli elettori non facciano più gli errori di ieri e quelli di oggi. Che sappiano scegliere meglio. Con il federalismo fiscale oramai alle porte e con la decisione intervenuta a livello comunitario di riscrivere il Patto di stabilità e crescita occorre che la classe dirigente calabrese impari a scaldare i muscoli piuttosto che le corde vocali. Necessita che la stessa si rinnovi radicalmente e che assicuri amministratori capaci alle loro comunità territoriali. Un dovere ineludibile, questo, per rivendicare un ruolo importante nel processo di crescita complessiva nazionale. I presupposti ci sono, sia sul piano delle capacità individuali che la Calabria ha modo di esprimere che sulla voglia di riscatto che residua nei calabresi, soprattutto nei giovani. Il federalismo fiscale va colto come risorsa e non già come handicap normativo. Una ricetta che Galli Della Loggia rappresentava sulle pagine del Corsera del 29 agosto scorso al fine di prevenire la continuità dei soliti guai che caratterizzano l’arretratezza del Mezzogiorno e la sua inadeguatezza a rendersi reale componente produttiva per il paese. Insomma, un federalismo fiscale che rappresenti l’opportunità ideale per il sud capace. Quel sud candidato a divenire volano del proprio e dell’altrui sviluppo, nell’interesse dell’unità giuridica ed economica della Repubblica. A tutto questo dovrà corrispondere una crescita culturale complessiva della Calabria e dei calabresi. Fondamentale sarà il modo di concepire il governo della regione e di realizzare la buona amministrazione dei comuni e delle province (fino a quando ci saranno!). La regione dovrà, quindi, perdere le sue brutte abitudini, prioritariamente quella di tutelare interessi e clientele, finanche attraverso leggi ad personam, e assumerne di nuove. Prima fra tutte quella di legiferare le riforme strutturali nella sanità, evitando l’abituale ricorso alle cosiddette “pezze a colori” di cui è zeppa l’attuale disciplina, inidonea e incompatibile con la corretta esecuzione del piano di rientro in itinere. Necessitano, al riguardo, riforme reali, utili a individuare organizzazioni funzionali a ottimizzare i costi e le prestazioni essenziali, spesso erogate in modo vergognoso. I comuni dovranno, principalmente, prendere coscienza del loro novellato protagonismo istituzionale, all’insegna del rigore amministrativo e del corretto funzionamento della macchina burocratica. I più piccoli avranno l’obbligo di stimolare le unioni e le fusioni, di recente incentivate economicamente. Tutte le istituzioni territoriali dovranno, comunque, razionalizzare i loro servizi ed espellere ogni illecita ingerenza. In questo percorso assumerà un ruolo fondamentale la corretta pretesa dei cittadini, che è da rieducare per ben rivendicare i diritti sottesi. Su tutto, sarà indispensabile la concreta collaborazione delle rappresentanze del mondo del lavoro, protagoniste storiche di ogni positivo cambiamento.

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