X
<
>

Condividi:
3 minuti per la lettura

Apparirà in videoconferenza dal carcere di Nuoro, dov’è ancora detenuto in esecuzione di un’ordinanza di misure cautelari per associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito dell’operazione “Double face” dei carabinieri del nucleo provinciale operativo ai comandi del capitano Antonio Milone.
Doppia faccia, Antonio Cossidente. Doppia faccia anche per il clan dei basilischi spaccato dopo la scoperta di un abboccamento tra il boss del capoluogo e un agente dei servizi segreti, quello che a molti era sembrata la manifestazione del proposito di collaborare con la giustizia.
Il collegio del Tribunale di Potenza ieri pomeriggio ha accolto in extremis le richieste degli avvocati degli imputati di un altro processo, soprannominato Hooligans, arrivato alle battute conclusive.
L’accusa per Savino Giannizzeri, Andrea Diana, Cesare Montesano, Alessandro Scavone, Alessio Diana, Rocco Quaratino, e Ferdinando Carlone – tutti di Potenza – è di aver messo in piedi un’organizzazione per monopolizzare il business della security nei locali in nome e per conto di Cossidente.
Il metodo utilizzato sarebbe stata la violenza scatenata per estorcere l’affidamento del servizio di buttafuori.
Nelle udienze prima della pausa estiva erano stati sentiti come testimoni due collaboratori di giustizia che avevano confermato questo teorema. Gino Cosentino, considerato il fondatore dei basilischi, aveva preso le distanze riconoscendo che erano affari di Cossidente, mentre il “pentito-ultrà” Alessio Telesca, che per Cossidente si occupava dello spaccio di cocaina, ha raccontato di aver sentito che Giannizzeri gli girava una quota dei suoi incassi.
Prendendo la parola dalla sezione speciale del carcere di Livorno dove è detenuto a regime di 41bis, Savino Giannizzeri ha negato con decisione.
«Ho aperto una mia agenzia – queste sono state le sue parole – e non appartengo a nessunissimo clan»
Quanto ai «testi tirati dal cilindro magico dall’accusa» ha negato di aver avuto qualsivoglia contatto con loro, se non per una volta in cui dovette cacciare Cosentino dal locale dove stava lavorando, perchè lo aveva minacciato.
«Persi la pazienza – ha detto Giannizzeri -. Lui poi picchiò un ragazzo quella sera, e ora me lo ritrovo a raccontare cose per sentito dire. Io faccio il buttafiori – ha proseguito – ma lo faccio per conto mio e sì e no guadagno 50 euro a settimana. Se Telesca dice di conoscermi allora anch’io conosco Tom Cruise. A Potenza lavoro non ce n’è. Sto pagando per il mio atteggiamento da sbruffone che è necessario per fare quel mestiere, e sono da 2 anni in carcere e da 21 mesi al 41bis per una grande bugia».
Sull’episodio della rissa al Gogò di Picerno si è difeso dicendo che quella sera lui e suoi sarebbero andati soltanto «a bere una cosa».
«Fate uscire fuori questa maledetta veritá», è stato il suo appello ripetuto più e più volte, davanti ai familiari con le lacrime agli occhi.
«Mia madre ha dovuto fare un prestito per pagare l’avvocato. Ora che ascolterete il presunto capoclan, sentirete se mi conosce».
Una «prova inutile» per il pm Francesco Basentini, che si era opposto alla deposizione di Cossidente. «Non ci aspettiamo che ammetta il suo ruolo perciò ci bastano le sentenze del Tribunale del riesame».
Allora cosa dirà davanti ai magistrati e al pubblico presente il boss del doppio gioco? Il rischio è che dal carcere di Nuoro possano partire dei messaggi codificati per qualcuno che è rimasto fuori.
Leo Amato

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE