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di MATTEO COSENZA
Minaccia di piovere ma nulla può cambiare quello che non si pensava potesse accadere e che è accaduto in queste settimane: la più vasta e straordinaria mobilitazione spontanea delle coscienze di una popolazione che scende in campo per liberarsi del cancro che la consuma, la ’ndrangheta. Nulla di preordinato, nulla di organizzato, tutto si è verificato alla luce del giorno con un crescendo che nessuno poteva immaginare. In realtà la misura era colma, la Calabria sobbolliva, incapace di immaginare un modo qualsiasi per scrollarsi di dosso la macchia di essere rappresentata come il luogo perduto, un inferno deturpato dalla ’ndrangheta e dai suoi sodali, spesso a loro modo e a loro volta vittime e carnefici allo stesso tempo.
Dopo aver detto per anni che lo Stato era assente e poi assistere settimana dopo settimana a raffiche di arresti, a blitz a ripetizione e al progressivo avvicinamento ai santuari, la cosiddetta area grigia delle grisaglie, dei doppiopetti e della complicità, si è incominciato a capire che qualcosa finalmente stava accadendo. Ma la speranza stava durando poco perché il contrattacco, scattato con cronometrica puntualità, stava facendo riaffiorare scetticismo e sfiducia, impotenza e angoscia dinanzi allo spettacolo di magistrati sempre più a rischio di fare la fine di Scopelliti, Falcone e Borsellino. Sotto il coperchio della calma apparente ribolliva di tutto ed è bastato sollevarlo con una semplice, normale, consentiteci, banale proposta per far emergere tutto quello che era nella pancia e nel cuore della gente. Sì, è davvero straordinario quello che è successo. Forse si è sviluppata la più vasta e vera discussione pubblica che si ricordi, anche aspra in tante fasi, con tanti nodi denunciati e non sciolti. Centinaia e centinaia di persone hanno letto, pensato, deciso di dire la loro, e migliaia e migliaia hanno discusso tra loro. La parola è tornata sovrana, non la chiacchiera bensì, ripetiamo, la parola. Quello di parlare è il primo diritto che la ’ndrangheta ci porta via perché quale parola e libero pensiero possono esserci se si vive nella paura che qualcuno ti intimidisca, ti minacci, ti discrimini, ti punica, ti faccia del male e lo faccia anche ai tuoi cari? Gli italiani di Calabria vogliono riappropriarsene – della parola – come hanno fatto in queste settimane, perché da qui occorre ripartire e questa è la prima condizione della riconquista del diritto inviolabile della libertà che è alla base di una democrazia. Il secondo insegnamento è l’idea, diventata patrimonio di centinaia di soggetti, individuali e collettivi, che da soli non si va da nessuna parte e che anche le belle esperienze, che qua e là si fanno nella regione, non riescono a cambiare lo stato dello cose perché delimitate nel loro spazio più o meno definito. Si è compreso che la svolta può venire solo mettendo insieme tutti i pezzi di buona Calabria e trasformare le debolezze in una grande forza. È la rete di cui si è parlato, e la rete c’è stata ed ha funzionato. E allora perché non dovrebbe funzionare dopo la manifestazione se gli obiettivi sono chiari e non ledono l’autonomia di pensiero e di azione di ogni soggetto? Ricordiamo il punto cruciale sul quale il consenso è unanime: lo Stato, per quanto sempre più attrezzato, da solo non basta senza la partecipazione della gente che deve, a partire dai singoli comportamenti e dall’impegno collettivo, ripristinare le regole di un civile convivenza, ma al tempo stesso la società civile, per quanto impegnata, non ce la farà se lo Stato non sarà in grado di garantire la sicurezza e la legalità. È da questo incontro che deve ripartire la speranza del cambiamento, l’unica che consentirà di sconfiggere la ‘ndrangheta e portare allo scoperto la vasta area della collusione di basso e alto profilo. Insieme ce la possiamo fare, ce la dobbiamo fare. La Calabria e con essa l’intero Mezzogiorno devono riconquistare il rispetto del paese ed essere a pieno titolo parte fondamentale dell’Italia, cittadini di un paese che deve restare unito nonostante i piccoli piccoli borghesi in canottiera della Padania. Devono cambiare tante cose, in primo luogo le politiche nazionali per il Sud, quelle dei partiti e quelle dei governi, ma poi, anzi contestualmente se non prima, dobbiamo cambiare noi. Lo pretendono i giovani, i ragazzi incontrati in questi giorni nella scuole, che meritano un altro futuro senza doversi mai vergognare di dire di essere calabresi ed anzi sentirsi orgogliosi di appartenere a questa terra bellissima. E, cari giovani, se non ve lo consentono gli adulti, prendetevelo voi, nelle vostro mani, questo futuro. Farete sicuramente meglio di loro, di noi. Coraggio Calabria.

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