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di SILVIO GAMBINO
Yes we can. Parlando nella sua veste di uomo di legge, il procuratore della Repubblica Di Landro ci raccontava ieri a Reggio Calabria del suo sogno di battere la ’ndrangheta. Il suo sogno è anche quello impresso nei tanti volti dei bambini, dei giovani studenti e di quanti ieri hanno manifestato a Reggio Calabria il loro disprezzo per la ’ndrangheta e la loro richiesta allo Stato della restituzione del diritto alla normalità e della speranza del futuro. Perché tutto questo si realizzi, opportunamente, ci diceva ieri Di Landro che tre momenti sono assolutamente necessari: la famiglia e la scuola innanzitutto, il sistema preventivo e quello repressivo. Sul primo dei tre momenti Di Landro ha già spiegato con parole semplici ma efficaci quando si è rivolto alle “donne di mafia” per invitarle a dissuadere i loro mariti e i loro figli dal praticare una vita intrisa di violenza e di sangue. Lo stesso successo nell’accumulo di denaro e di beni non giustifica la vita assolutamente bestiale che i loro uomini sono costretti a fare, rimanendo esposti alle conseguenze pregiudizievoli delle indagini giudiziarie e della repressione statale. Sul secondo momento, quello della repressione, occorre che la Calabria (come più in generale le regioni meridionali) faccia una riflessione approfondita. La qualità della vita democratica dei cittadini e la stessa possibilità di un radicamento dell’impresa, che costituiscono il cuore della domanda espressa dai 40000 calabresi che ieri hanno gridato il loro “no alla ’ndrangheta”, non permettono il silenzio delle istituzioni statali, pretendendo, al contrario, la riaffermazione del monopolio della legittimità dello Stato su questi territori (con la presenza di forze dell’ordine numericamente adeguata al contrasto delle diverse famiglie mafiose del territorio e con la presenza di magistrati essa stessa adeguata alla celerità e alla complessità dei processi). Una presenza dello Stato non simbolica, dunque, e come tale percepita dai criminali! Occorre parlarne nelle forze politiche, culturali e nel mondo associativo. Alla fine dovremo avere la forza di arrivare perfino a un accordo pluripartisan. Sulla lotta alla ’ndrangheta non c’è spazio per dividersi. Non deve esserci! Se la divisione dovesse prevalere, vorrebbe dire che si tratta di una lotta puramente “chiacchieratoria”. Ma è su un ultimo momento, quello di tipo preventivo, che è nata la mia richiesta al Direttore di questo Quotidiano. Dopo che tutti lo avremo ringraziato per essere stato capace di riunirci in tanti ieri a Reggio Calabria. C’è un rischio e molti lo hanno ieri paventato, a fronte di alcune presenze in piazza. Il rischio cioè è quello di un’antimafia parolaia che non smuove la politica e le istituzioni territoriali (comuni, province, regioni, aziende sanitarie, ecc.). Se il rischio esiste, allora occorre provvedere con rimedi adeguati, istituzionali e politici. In questa sede non possiamo scendere nei dettagli, ma qualcosa si può dire e si può proporre. Per esempio, iniziando dalla Stazione unica appaltante. Possiamo convenire politicamente che sia una risposta importante se non esclusiva? Se la risposta fosse positiva, allora se ne traggano le conseguenze operative. Possiamo aggiungere subito dopo che non è possibile che la Regione Calabria operi senza una qualche legge regionale che tenga conto della soppressione dei controlli preventivi sugli atti amministrativi della regione, della aziende sanitarie ecc.? Le forze politiche di maggioranza e di opposizione sono convinte che senza controlli lo spazio per la discrezionalità e per il rischio di infiltrazioni di interessi mafiosi crescano a dismisura? Se fosse così, mettiamo subito mano a una legge multipartisan in materia! Ci sono buoni modelli di riferimento nelle regioni italiane. Da ultimo e per tutte le amministrazioni, sia statali sia decentrate che locali. È possibile raggiungere un accordo condiviso sulla necessità di codici etici vincolanti le forze politiche? Se condividiamo effettivamente le ragioni del 25 settembre calabrese, proviamo a farlo. Ogni anno potremo rivederci a Reggio Calabria per fare il punto sul già fatto e su ciò che si può e si deve ancora fare. Naturalmente, tutto ciò deve accompagnarsi con una organica risposta del legislatore statale. Gratteri e altri pubblici ministeri di frontiera ne vanno parlando da anni. Al momento del tutto inascoltati!

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