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ROMA – «Ci ho pensato tante volte. Picchiarlo? Sì, ok. Lo ammetto ci ho pensato, ma non posso farlo. Solo per un motivo: perchè sono molto più alto di lui e non sarebbe giusto e poi farei il suo gioco. I riflettori tornerebbero ad accendersi su questa persona che vive solo di questo e non avrei voglia di fargli un altro regalo». Vittorio Emanuele di Savoia, dopo essere stato assolto per non aver commesso il fatto dalle accuse della procura di Potenza nell’inchiesta sui videopoker promossa dal pm Henry John Woodcock, si sfoga e racconta a «Chi», in edicola mercoledì 29 settembre, come ha vissuto questa vicenda. «Sono contento che la magistratura, quella vera, quella che non vive di riflettori e media, abbia vinto», dice. «Ringrazio chi mi ha difeso e tutelato, anche se io non mi sono mai abbattuto. Non ne valeva la pena per un pm così. Non capisco come sia possibile che nessuno intervenga. Chi mi restituirà la dignità? Chi mi ripagherà dell’umiliazione mondiale che ho ricevuto?», spiega Vittorio Emanuele. «Ho avuto la sfortuna di trovare sulla mia strada – prosegue – una persona che cercava solo visibilità. Ricordo che durante il mio secondo interrogatorio Woodcock, che durante l’incontro era visibilmente mogio, quando iniziò a parlare con me e con l’avvocato come prima domanda mi chiese: ‘Lei quanti colpi ha sparato a Cavallo?’. Questa persona mi indaga per una vicenda legata ai videopoker, tra l’altro vicenda inesistente come hanno poi dimostrato in seguito, e che fa? Come prima domanda mi chiede di un triste episodio che risale al 1978. Io avevo subito intuito che quest’uomo, Woodcock, voleva accendere un altro faro su di sè. Cercava un altro colpo a effetto per diventare famoso anche in Francia». Vittorio Emanuele conclude: «Ho la sindrome della colpevolezza. Non riesco più nemmeno a guidare la macchina in Italia, ho paura che, se dovessi commettere un’infrazione, mi potrebbero arrestare e così via per tante altre cose».

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