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Il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, ha voluto esprimere il proprio commento a seguito della notizia delle informazioni di garanzia notificate a quattro affiliati alla cosca Serraino per attentato e l’ipotesi che l’episodio si collegherebbe ai contrasti col sostituto procuratore generale Francesco Neri: «Quanto sta emergendo – ha dichiarato Di Landro – conferma le ipotesi che erano state fatte nell’immediatezza in merito al movente dell’attentato del 3 gennaio contro la Procura generale». «Si tratta di congetture – ha aggiunto Di Landro – che furono fatte non soltanto da me, ma anche dai partecipanti ad una riunione di coordinamento in Prefettura. Frutto, dunque, di una riflessione collegiale. Congetture che riguardavano i contrasti all’interno dell’ufficio, con particolare riferimento alla sostituzione del rappresentante della pubblica accusa nel processo d’appello per l’omicidio della guardia giurata Luigi Rende».
«Alla luce di quanto è accaduto oggi – ha detto ancora Di Landro – devo dire che quelle ipotesi registrano oggi più forza e consistenza. Devo dire, inoltre, che proprio per il fatto che quelle ipotesi, ritenute subito credibili, non erano soltanto mie, non ho mai capito il perchè della personalizzazione nei miei confronti della reazione. Quasi come se a fare quelle congetture fossi stato soltanto io». «In ogni caso – ha aggiunto il pg di Reggio Calabria – ritengo giusto avere contezza completa delle carte processuali per esprimere un giudizio definitivo. Mi auguro inoltre che i primi esiti dell’inchiesta sull’attentato rappresentino un primo passo per l’accertamento della verita». «Prendo atto, infine, con grande compiacimento – ha concluso Di Landro – del massimo l’impegno profuso nelle indagini dai carabinieri e dalla magistratura».
Anche il giornalista Antonino Monteleone ha rilasciato una dichiarazione all’Ansa dopo gli arresti di questa mattina, alcuni dei quali accusati di una intimidazione ai suoi danni: «Con gli arresti di oggi lo Stato ha dimostrato che ogni forma di ribellione civile nei confronti della ‘ndrangheta non viene difesa solo a parole ma con i fatti». «Mi auguro – aggiunge il giornalista, quest’anno inviato della trasmissione Exit di La 7 – che presto tutti i danneggiamenti e le intimidazioni a danno di altri cronisti abbiano dei responsabili e che questi vengano puniti. E’ necessario che l’azione di contrasto alle mafie tenga conto delle gravi difficoltà e dei gravi rischi a cui sono esposti i cronisti calabresi. Bisogna continuare a scrivere e raccontare come ogni singola cosca di ‘ndrangheta uccide il territorio e violenta i propri figli. Analizzare la realtà che ci circonda, non fermarsi alle apparenze, scendere nei dettagli dei meccanismi che governano questa schifosa organizzazione serve a poter cambiare le cose. E chi lo fa va difeso. La strada da percorrere è ancora molto lunga».
«Quando ho stretto la mano agli investigatori reggini a cui ho denunciato l’incendio della mia autovettura, rivelando particolari relativi alla mia attività nei giorni precedenti – afferma Monteleone – ho letto nei loro occhi la convinzione che sarebbero andati fino in fondo. Non ero a conoscenza del fatto che l’indagine fosse passata di mano, dalla squadra mobile al nucleo operativo dei carabinieri, ma questo fatto testimonia senza dubbio la grande forza sviluppata dalla sinergia tra magistratura e forze dell’ordine in riva allo stretto. Provo una grande soddisfazione e allo stesso tempo una certa inquietudine. Le mille imperfezioni del nostro sistema giudiziario potrebbero far tornare in strada le stesse persone. Ed anche una condanna non è affatto una cosa certa. Chi oggi ha la responsabilità di riformare il sistema ‘giustizià deve tener conto anche di ciò. Alle brillanti operazioni della polizia giudiziaria serve affiancare risorse e norme più stringenti».

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