X
<
>

Condividi:
6 minuti per la lettura

di DOMENICO LOGOZZO
Il volto di bambina che guarda felice al futuro, una piazza che si riempie per dare fiducia alle aspettative dei giovani. La foto scelta dal Quotidiano per commentare in prima pagina la grande manifestazione antimafia del 25 settembre a Reggio Calabria, è il simbolo di una società civile che crede e spera in un mondo migliore. I giovani, le immagini di tanti ragazzi e di tante ragazze che hanno animato e riempito di coraggiosi messaggi il corteo della rinascita, hanno voluto dire che “La nuova Calabria c’è” e non vuole farsi ulteriormente sottomettere. Migliaia di brave persone hanno detto no alla ‘ndrangheta e a squarciagola hanno gridato: sì alla legalità. Vedendo scorrere le immagini in televisione e poi sfogliando le pagine del “Quotidiano”, è emersa chiaramente una forza compatta di energie fresche, lucide e pulite. Soltanto la “bella gioventu’” riesce a trasmettere sani sentimenti con fierezza e senza condizionamenti. I giovani che giudicano. E condannano. Vogliono la legalità. Vogliono poter scegliere liberamente. Rifiutano di finire nella trappola delle cosche. Le radici oneste. Siamo nel 2010. I nostri ragazzi reagiscono. Scelgono il giusto, rifiutano le ingiustizie. Una battaglia che viene combattuta da anni, tra alti e bassi, tra delusioni e successi, tra inganni e certezze. Ma i “ragazzi di Calabria” non demordono mai. Le radici oneste sono profonde. Purtroppo il pregiudizio (“tutti barbari”, affermano con indecorosa superficialità i denigratori ad oltranza) è ancora forte. Ma sarebbe sbagliato sottovalutare il fenomeno. Il marciume è sì esteso e minaccioso, ma non è ancora così profondo. Il cancro si può estirpare. Ma non bisogna fermarsi, cullarsi sugli allori come tutte le persone sensate e di buona volontà ripetono all’indomani del 25 settembre. E’ stata una giornata storica per la Calabria e per il mondo dell’informazione, perché per la prima volta un giornale è riuscito a portare in piazza quarantamila persone. E’ un fatto positivo che ha sorpreso tanti. E aperto interessanti dibattiti ed opportune riflessioni. Come quella di Domenico Talia che scrive sul “Quotidiano”: “Che regione è quella in cui la più grande manifestazione contro la ‘ndrangheta la deve proclamare un direttore di un giornale?” Esatto. E’ questa la constatazione positiva che è sfuggita soprattutto a molti avveduti operatori dell’informazione. La stampa che riempie di contenuti reali il suo ruolo di “sentinella della legalità” e dà voce alle legittime istanze dei cittadini, è indubbiamente una “notizia” positiva anche per la categoria dei giornalisti, troppo spesso accusati di “disinformare”. Un evento che però non è stato pienamente colto dalla cosiddetta “grande stampa”, per la verità molto “attenta” e prodiga di ampi spazi quando si tratta di notizie negative dalla Calabria. Una vecchia storia, mentre c’è del nuovo in Calabria, che merita il dovuto rilievo, perché significa soprattutto dar forza al libero movimento di opinione che si è creato intorno ad una questione che non è solo ed esclusivamente “affare calabrese”, ma è “problema nazionale”. La ‘ndrangheta oramai ha raggiunto tutti gli angoli della terra dove si possono ottenere ingenti guadagni illeciti. E soprattutto si sono intensificati pericolosamente i rapporti con il mondo politico. Ovunque. Al Sud come al Nord. Senza confini. Giovanni Falcone, già nei primissimi anni Novanta, affermava: «E’ evidente che è la mafia ad imporre le sue condizioni ai politici, e non viceversa». La manifestazione del 25 settembre non può rimanere circoscritta, soprattutto dal punto di vista dell’informazione, al solo territorio regionale. I riflessi positivi debbono essere portati ulteriormente all’esterno. Far sapere alla pubblica opinione italiana che non c’è rassegnazione, che i magistrati non sono soli, che le penne pulite non si fanno imbavagliare, che il futuro destino della regione non è irrimidiabilmente compromeso e che l’intero territorio non è nelle mani dell’anti-Stato. Non sarà facile farlo capire. La diffidenza è diffusa. La cattiveria pure. Ma intanto la pietra buttata nello stagno dal “Quotidiano” è servita a smuovere le coscienze. Non può passare subito in archivio la marcia degli onesti che hanno affrontato a viso aperto, con la forza dell’ottimismo, la ‘ndrangheta nella città più esposta alle scorrerie mafiose. Solidarietà ai magistrati. Che vanno tutelati dallo Stato, perché quotidianamente rischiano la vita per garantire la sacrosanta tranquillità alla collettività. Ma gli attentati e le pallottole e le “cimici” degli infedeli sono all’ordine del giorno. Costante la minaccia ai fedeli servitori dello Stato. Ne era consapevole Falcone: «Si muore generalmente perché si è soli…perché si è privi di sostegni…La mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere». E anche e soprattutto allo Stato speso “distratto” ha dato una scossa un giornale che ha subito minacciosi assalti della criminalità organizzata. I giornalisti calabresi sono da mesi nel mirino della malavita. Vogliono imbavagliarli. Debbono essere tutti uniti. Senza barriere, senza invidie, senza primogeniture da esibire o da denigrare, tutti contro i nemici dell’informazione, con la schiena dritta. E’ il futuro in ballo. La mafia non può decidere quello che si può e quello che non si può scrivere. I potentati politico-mafiosi debbono essere messi in condizione di non interferire e di non compromettere la libera circolazione delle notizie. Senza bavaglio, per il bene della Calabria. Reagire. E’ stata la parola chiave partita da Reggio Calabria e rivolta a tutta la Calabria. Volontà di cambiare. Deve essere questo l’impegno di tutti. Perché questo sicuramente è stato l’intento del direttore del “Quotidiano” Matteo Cosenza nel lanciare la proposta della manifestazione “No alla ‘ndragheta”, all’indomani della spavalda azione intimidatoria nei confronti del procuratore Di Landro. L’obiettivo che deve essere centrato. Non sarà facile. Perché nella Calabria dell’abbandono e della disperazione, dei compromessi e delle ambiguità, sempre ed in ogni epoca tutto è stato maledettamente difficile. Aggressione alla società civile senza fine. Ma non bisogna disperare, rifacendoci ad un illuminante giudizio Giovanni Falcone, che in questi giorni è opportuno ricordare, per riflettere: «Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine». E il 25 settembre dovrà essere considerato come il giorno dell’inizio della fine! Con tutti quei giovani calabresi che manifestavano per sdradicare la malapianta, ritornano alla mente alcuni scritti di Corrado Alvaro sui prepotenti ed i ragazzi. Ricordi della sua San Luca, riportati nel 1936 in “Quasi una vita, giornale di uno scrittore”. Leggiamo: «Al mio paese, i ragazzi rappresentano l’opinione pubblica: approvano, fischiano chi sgarra, tirano sassi a chi fa il prepotente. Sono i primi ad avvertire le mancanze e le debolezze del mondo adulto. Sono esatti e crudeli nei loro giudizi». I giovani a Reggio non hanno tirato sassi contro la mafia che è resa vigliaccamente “invisibile”, ma hanno lanciato messaggi forti, che hanno lasciato il segno, molto profondo: «Non vi temiamo, la nostra sarà una battaglia vincente». Volti e parole di speranza che sono penetrati nelle coscienze della gente di Calabria che non ne può più’ delle angherie e che fischia contro chi sgarra come i ragazzi di San Luca ricordati da Alvaro!

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE