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di ETTORE JORIO
Un grazie a Matteo Cosenza che ci ha dato modo di essere stati, in tanti e insieme, a Reggio Calabria ad urlare un deciso no alla ‘ndrangheta. Un grazie agli oltre 40mila onesti calabresi di essere stati lì. Grazie a quanti, impossibilitati a farlo, hanno condiviso l’iniziativa con il cuore e l’anima. Grazie, infine, ai magistrati coraggiosi e alle forze dell’ordine che quotidianamente rischiano la loro vita e quella dei loro cari per il presente e il futuro di tutti noi. E’ quanto suscita l’ottimo esito della manifestazione reggina! Un rimprovero e un auspicio. Il rimprovero va alla politica nazionale, perché presente solo marginalmente. Perché non ha colto il segnale e l’occasione che la Calabria ha offerto per ribadire, con forza autentica e con proposte concrete, il proprio impegno nella lotta contro le organizzazioni mafiose. Un dovere appena appena sottolineato anche nel discorso del premier tenuto alle Camere per la fiducia. E dire che il livello partecipativo della manifestazione, ma soprattutto la sfrontatezza con la quale si susseguono le minacce e gli attentati alla magistratura calabrese avrebbero meritato un così alto impegno da insediare in tutto il Paese la volontà collettiva di dare inizio ad una grande lotta per la liberazione. Dalla oppressione e dalla schiavitù mafiosa, che una siffatta tipologia di nemico impone con una violenza inaudita sui territori e ai cittadini che vi dimorano. Quella logica che rende schiavi non solo gli immigrati di Rosarno, bensì i nostri sogni. Quelli che la nostra generazione, evidentemente, non è riuscita a trasformare nella realtà desiderata da garantire ai nostri figli. Quella schiavitù ancora che impone l’occupazione a sistema della pubblica amministrazione, tanto da impedirle di divenire funzionale alle esigenze collettive, ma solo agli interessi privati, sempre più condizionati dal malaffare. Quella schiavitù che induce il diffondersi di una occupazione lavorativa negoziata, mediata dal nuovo modello di caporalato. Quel modo di promettere e distribuire lavoro attraverso le postazioni fisse, espressione del potere della ‘ndrangheta, sempre più spesso in blazer e cravatta, ovvero, alternativamente, della politica periferica, spesso mandataria di quella politica di spessore più elevato. Il contrapporsi a tutto questo avrebbe rappresentato per la politica che conta il suo grande momento di riscatto e di efficienza. Avrebbe dato un maggiore tono al programma residuo del governo. Invece, nulla. L’occasione sarebbe servita a dimostrare la volontà di possedere e realizzare un grande progetto per il Sud. Peraltro, strumentale al buon esito del federalismo fiscale. Una ipotesi di lavoro che, partendo dalla magnifica manifestazione del 25 settembre, avrebbe fatto assumere a tutti gli italiani l’impegno a risolvere i problemi del Mezzogiorno nell’interesse nazionale. Ma non solo. Avrebbe detto sì alla creazione di quell’argine di civiltà vera, funzionale ad evitare che le mafie, ‘ndrangheta prima di tutte, andassero ad impadronirsi, così come sta avvenendo, delle postazioni strategiche nell’intero Paese, dal sistema finanziario a quello istituzionale. L’auspicio è che le cose cambino da ieri. Che da questa manifestazione piena di pathos, testimoniata dalle commozione per chi ha sacrificato la propria vita – non solo perdendola ma rinunciando alla propria, perché dedicata esclusivamente alla lotta alla delinquenza organizzata – e dai sorrisi speranzosi dei tanti giovani, nasca una nuova iniziativa collettiva. Una nuova tipologia di cittadinanza. Quella che occorre. Quella che sappia mettere insieme le istituzioni, la burocrazia, la politica, i movimenti, i rappresentanti del lavoro e quelli che non ce l’hanno, il volontariato e non solo. Che costituisca il più grande patrimonio umano regionale da spendere sia in termini difensivi che offensivi. Un progetto comune che partendo dalla Calabria, vilipesa e offesa, rappresenti il manuale delle istruzioni per l’uso per esigere i diritti anziché elemosinarli e per scacciare dalle istanze pubbliche ogni collusione, garantendo così quella ospitalità turistica e di mercato imprenditoriale irrinunciabile per il nostro futuro. Ma anche per dare forza e valore a quelle confische che sono il vero strumento per tagliare definitivamente le ali a quella organizzazione malefica che è la ‘ndrangheta, impedendole così quel volo fino ad oggi ostacolato da pochi, facilitato da molti, tollerato (ahinoi!) da tutti (o quasi). Che il 25 settembre 2010 possa essere ricordato come il momento d’inizio dell’agonia della mafia, destinata a morire nell’interesse del Paese.

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