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di SARA LORUSSO
POTENZA – In duemila, forse anche qualcosa in più, sono scesi in strada, sfilando lungo le vie del capoluogo, fino alla piazza principale. Armati di megafoni e cartelloni per ribadire ancora una volta il “no” «all’attacco alla scuola pubblica». Tanti studenti tutti insieme, contro i tagli a le politiche centrali sulla scuola, non si vedevano, almeno a Potenza, dai tempi dell’Onda. Ma in due anni, le cose, spiegano, «sono andate peggiorando». Forse è cambiato un po’ anche il clima, e tra loro c’è anche consapevolezza politica, tra chi «la riforma può anche andare se lo scopo è abbattere i “baronati”, purchè non sia tutto “tagli-e-basta”» e chi al ministro all’Istruzione Gemini lancia, senza mezzi termini, l’invito a farsi da parte. «Se continuiamo così, a furia di tagli, resterà da gestire un ministero della Distruzione». Perché la scuola, più in generale la formazione – visto che nella protesta c’è anche il mondo universitario e della ricerca – «sta venendo giù a pezzi». Anche in senso letterale. Per questo i ragazzi della Rete, il sindacato studentesco che ha organizzato la protesta in tutto il Paese e che da due anni ha una base anche a Potenza, hanno indossato i caschi da cantiere. «Le scuole, spesso, sono prive delle idonee certificazioni, vecchie e pericolose». Sulla sicurezza possono proporre una lunga lista di esempi anche a Potenza. «Vogliamo parlare dell’istituto d’arte? – racconta chi in quelle aule vive quotidianamente – Da quest’anno abbiamo traslocato nell’ex Itc, perché la vecchia sede ha bisogno di una ristrutturazione. Lì correvamo il rischio di essere investiti dai vetri delle finestre ad ogni colpo di vento». Solo che «oggi, nella “nuova” sede, comunque paghiamo un prezzo. Nella struttura non ci sono gli spazi per i laboratori. Ha presente un istituto d’arte senza le aree per le materie “pratiche”?». Ma non va meglio in altre scuole. E se i problemi non sono di natura statica, ci sono quelli che la riforma Gemini si porta dietro: cattedre in meno, classi sovraffollate, risparmi che ricadono sulla qualità della didattica.
Alla manifestazione hanno aderito tante scuole, diverse associazioni , singoli – «e non c’è solo la sinistra», poi magari si discute sul metodo – e la Flc Cgil.
Tra i ragazzi anche chi è solo al primo anno: «Ma in questa scuola ce ne devo restare altri cinque». E poi il rischio non diminuisce. «La protesta degli studenti medi è la stessa che sta conducendo l’università, dove i tagli sono alla ricerca, all’insegnamento». E’ lì che il futuro di quegli stessi ragazzi dovrà trovare ulteriore spazio. «Una scuola di minore qualità – dirà due Paolo Fanti, ricercatore strutturato dell’Unibas rivolgendosi ai ragazzi – significa coscienze meno consapevoli, anche dei propri diritti». Non a caso uno degli striscioni portati in corteo dai ragazzi recitava “oggi ignoranti domani precari”. Destino che tocca a un numero corposo di docenti. Pure loro a sfilare, vestiti di cartelloni esplicativi sulla condizione di chi, dopo anni di insegnamento part-time resta senza lavoro. Avevano una maschera bianca in volto «perché ci hanno tolto l’identità».
Così eccoli di nuovo in piazza, per qualche ora, composti, allegri, e – giurano – convinti. C’è stato chi ha pensato al gesto eclatante, ma le uova e i pomodori sono stati sequestrati dalla polizia prima che partisse il corteo. «Iniziativa di singoli, non c’entra con la manifestazione», sottolineano dalla Rete. E infatti il corteo va avanti senza alcuna tensione. Anche nella tappa all’Ufficio scolastico regionale: striscioni, cori, interventi. Chissà se il direttore Franco Inglese li ha ascoltati a distanza. Loro, però, il messaggio anti-tagli lo hanno ribadito, per poi rimettersi in marcia verso piazza Prefettura.
«Il punto è che il principio di svecchiare la scuola – fa eco Piervincenzo Lapenna, presidente della consulta provinciale degli studenti di Potenza – può anche andare bene, ma poi nella pratica non può tramutarsi in una semplice somma di tagli». Era di ritorno proprio da un un incontro con il ministro a cui aveva chiesto audizione: «Le ho detto queste cose di persona. Lei dice che la riforma è buona, io le opposto le mie obiezioni». Che, con aggiunte, toni diversi, magari sfumature più o meno nette ritornano nelle parole di tanti altri.
Che cosa è cambiato, allora, in questi due anni? «Non la voglia di farci sentire – spiega Maria, attivissima presenza della Rete – Non se continuano a smobilitare la nostra scuola, visto che è un diritto di tutti. Se lo ricordano che sta scritto nella Costituzione?».
Tornano gli slogan contro il privato, tornano i cori contro il governo – a cantarli non sono proprio tutti – tornano i cartelloni colorati, gli adesivi contro la Gelmini, la musica e le lunghe camminate attraverso la città.
«La scuola non si tocca», dicono mentre promettono ulteriore mobilitazione in quello che si annuncia come un “nuovo autunno caldo”.

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