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Undici armi da fuoco sono state sequestrate dalla Squadra Mobile della questura di Reggio Calabria in un’armeria cittadina. Secondo il pentito Antonino Lo Giudice farebbero parte della «Santabarbara» della cosca di cui lui era esponente di primo piano. Lo stock è composto da nove fucili a colpi singoli, tipo kalashnikov, e da due pistole. Le armi erano regolarmente detenute, munite di certificato, in un’armeria della città dello Stretto, al cui titolare non viene addebitata alcuna violazione di legge.
Il pentito Lo Giudice, si è anche addebitato la responsabilità dell’organizzazione degli attentati alla Procura generale e al procuratore Salvatore Di Landro, nonchè del ritrovamento del bazooka annunciato da una telefonata anonima, e quelle armi sono riconducibili al suo clan. Sulle rivelazioni, la polizia sta effettuando dei riscontri al fine di valutare la posizione del titolare dell’armeria e di chi avrebbe ceduto i fucili e le pistole messi in vendita.
Perquisizioni anche da parte dei carabinieri, su delega della Dda di Reggio Calabria, disposte dopo le dichiarazioni del boss. I militari, in particolare, hanno acquisito, insieme alla polizia, gli 11 kalashnikov che erano detenuti nell’armeria. Antonino Lo Giudice, 50 anni, era subentrato ai vertici della cosca dopo l’arresto del fratello Massimo. È bastata una settimana nel carcere romano di Rebibbia, per indurlo a collaboratore di Giustizia. Prima di lui, il passo verso lo Stato lo aveva fatto il fratello minore Maurizio, nel 1999, dopo una pesante condanna per l’omicidio di un ristoratore reggino, Giuseppe Giardino, al quale Maurizio aveva tentato di sottrarre l’incasso della giornata sotto casa della vittima. Giardino aveva resistito e così Maurizio Lo Giudice gli aveva esploso contro un colpo di pistola cal. 6,35.
Antonino, Massimo, Pietro, Maurizio, sono figli del defunto boss del quartiere Santa Caterina di Reggio.
Le dichiarazioni del pentito Lo Giudice, confermano la cautela che la Dda di Catanzaro ha sempre dimostrato in merito alle presunte responsabilità sul fatto specifico della cosca Serraino. A riferirlo fonti giudiziarie in merito agli elementi di contrasto tra le dichiarazioni di Lo Giudice, che non avrebbe fatto alcun riferimento, nelle sue dichiarazioni, ad un ruolo svolto nella vicenda dalla cosca Serraino, e quanto era emerso dall’inchiesta condotta sulle intimidazioni dalla Dda di Catanzaro.
Inchiesta che il 30 settembre scorso aveva portato all’emissione di quattro avvisi di garanzia, in relazione agli attentati, nei confronti di altrettanti affiliati alla cosca Serraino. D’altra parte, rilevano le stesse fonti, era stato lo stesso Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, nel corso della conferenza stampa fatta a Reggio Calabria in merito all’operazione contro la cosca Serraino, a esprimere cautela sull’effettiva attendibilità della pista investigativa che riguardava le presunte responsabilità, per gli attentati, del gruppo criminale reggino.

DA LUNEDì L’ESERCITO A REGGIO
Lunedì intanto arriverà l’esercito a Reggio Calabria per attuare la vigilanza fissa negli uffici della Procura generale e della Dda, alla Corte d’appello e nell’abitazione di Di Landro per prevenire ulteriori intimidazioni da parte della ‘ndrangheta. «Una presenza – ha sottolineato il prefetto, Luigi Varratta – che consentirà alle forze dell’ordine di occuparsi esclusivamente delle indagini e che sarà limitata agli obiettivi sensibili che sono stati individuati. La presenza dell’Esercito, in ogni caso – ha aggiunto Varratta – non si tradurrà in una militarizzazione della città. Anche perchè Reggio non ne ha alcun bisogno».
«La ‘ndrangheta nell’arco della sua storia ha avuto ben pochi collaboratori di giustizia – ha dichiarato invece Francesco Forgione, ex presidente della Commissione Parlamentare Antimafia – e questo è dovuto principalmente alla sua struttura costruita su base familiare e su stretti legami di sangue. Da qualche tempo sta cominciando ad aprirsi qualche crepa». «Vedremo – ha proseguito Forgione – lo sviluppo delle indagini e il contributo del boss Lo Giudice, ma se la crepa si è aperta, questo è dovuto all’azione dello Stato, delle forze dell’ordine, alla nuova linea assunta dalla magistratura di Reggio Calabria, ai colpi che sono stati inferti alle cosche sul piano patrimoniale, all’arresto dei latitanti negli ultimi mesi». «Insomma – ha concluso – c’è forse una crisi di credibilità in atto nella ‘ndrangheta, forse è stato incrinato il muro sacrale dell’omertà che può far ben sperare, e che può ridare fiducia nello Stato da parte dei cittadini onesti».

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