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L’ex convivente le aveva teso una trappola e così Lea Garofalo, la pentita della ‘ndrangheta è stata assassinata e sciolta nell’acido. L’ex le aveva chiesto di portargli la loro figlia in visita a Milano e secondo quanto accertato dalle indagini che hanno portato all’arresto di 6 persone, il 20 novembre 2009, la vittima era arrivata a Milano per permettere alla giovane di passare alcuni giorni con il padre. Il 25 novembre però, l’uomo e la figlia hanno denunciato la scomparsa della donna. Secondo quanto accertato dalle indagini il 24 novembre successivo, Carlo Cosco, 30 anni, ex convivente della donna è riuscito con un pretesto ad allontanare la Garofalo dalla figlia, assieme ad altri complici. Poi mentre la donna aspettava il ritorno della ragazza in zona Arco della Pace a Milano è stata prelevata, costretta a salire sull’auto di Cosco e uccisa.
Dalle indagini emerge anche che Lea Garofalo sarebbe riuscita a sfuggire ad un primo tentativo di sequestro avvenuto a Campobasso, il 5 maggio 2009. Secondo la Dda di Campobasso, i Cosco affidarono l’incarico di prelevare Lea Garofalo a Massimo Sabatino. L’uomo, fingendosi un operaio dell’azienda del gas si introdusse nell’abitazione della donna, in via S. Antonio Abate. Il suo tentativo di immobilizzarla non riuscì grazie alla reazione della Garofalo e della figlia. Nella borsa lasciata da Sabatino nell’abitazione gli inquirenti rinvennero guanti, nastro adesivo ed una corda. In quel periodo, infatti, Lea Garofalo stava raccontando ai magistrati quello che sapeva sulla cosca calabrese cui apparteneva il marito. Il tentativo di sequestro, si legge nell’ordinanza, «serviva ad interrompere la collaborazione con l’autorità giudiziaria e punire la donna con la sua soppressione».

LA CIMICE NEL CARCERE DI SAN VITTORE
A consentire una svolta nelle indagini è stata una ‘cimice collocata nella cella del carcere di San Vittore a Milano dove è recluso Massimo Sabatino. Lui non lo sapeva, ma tutto quello che diceva veniva ascoltato e registrato dai carabinieri. Successivamente la collaborazione tra le Procure antimafia di Campobasso, Milano e Catanzaro ha consentito di mettere insieme tutti i tasselli e ricreare il fitto mosaico. Lo si è appreso nella conferenza stampa tenuta a Campobasso dal procuratore della Dda molisana, Armando D’Alterio, il quale ha più volte sottolineato il lavoro svolto dalle tre Procure, sotto il coordinamento dalla Direzione nazionale antimafia.

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