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SALERNO – «L’incompletezza» della perizia di Vincenzo Pascali sul Dna, contestata dalla procura di Salerno, si traduce in un lungo elenco nell’ordinanza di incidente probatorio del gip. Mancano gli accertamenti, ad esempio, sugli abiti di Restivo prelevati in Inghilterra, mancano indicazioni sulla quantità di alcune tracce genetiche non esaminate, mancano perfino le informazioni per definire scientificamente il kit utilizzato dal perito nelle sue analisi. «Va osservato che ad una prima lettura dei risultati peritali raggiunti e già depositati dal perito genetico-forense – scrive il gip Attilio Franco Orio -, mancano alcuni esiti informativi su dati e circostanze incidenti sulle problematiche sollevate dal pm, e che influiscono direttamente almeno sulla questione di completezza degli accertamenti in corso, questione che indirettamente si riverbera sulla esaustività anche di altri quesiti». L’elenco è consistente: «Manca un accertamento sulle tracce biologiche, sulle caratteristiche e profilo genetico dei reperti appartenuti al cadavere (almeno il femore e le mani) che rientravano almeno tra i primi 95 reperti affidati; mancano informazioni sul quesito del 14 aprile scorso concernente il bottone rosso; mancano accertamenti su alcuni indumenti prelevati a Bournemouth (mutande e vestaglia, ma anche federe di cuscino e sandalo), non più sottoposti ad indagine di profilo genetico «per ragioni di economia analitica» – elenca il gip – manca l’indicazione causale e modale per la quale alcuni reperti «non recavano tracce-macchie o altro materiale di cui si potesse supporre la natura biologica»; pertanto fra i reperti di interesse probatorio astrattamente rilevante ne sono stati annoverati 34 «dai quali non è stato possibile ricavare campioni» (tra questi, per citare solo quelli ipoteticamente di maggior rilievo, si annoverano varie formazioni pilifere, maglia del cadavere, osso femorale, peli slip, indumenti prelevati in casa dell’indagato); manca l’indicazione della quantità di campioni prelevati per ciascun reperto o comunque la loro posizione rispetto al reperto, e quindi potrebbe non essere preclusa un’ulteriore campionatura dai medesimi reperti già analizzati; mancano informazioni sulla quantità delle formazioni pilifere non esaminati o non foriere di risultati «utili» per l’estrazione di un profilo Dna, come del pari e specularmente, mancano informazioni su possibilità alternative, o meno, di estrazioni di profili Dna su capelli, loro resti e formazioni pilifere di diversa provenienza, e su ogni altro materiale biologico che sia all’apparenza molto degradato. Mancano indicazioni su alcuni aspetti consequenziali ma di sicuro interesse anche per gli esiti delle altre perizie – prosegue il gip -, ad esempio: i prelievi sulle zone ungueali hanno dato risultati non omogenei…; non è specificato se la «presunta sostanza ematica presente su un chiodo nella zona di ancoraggio delle tegole» sia poi risultata effettivamente di provenienza ematica o meno, oppure se vi fossero tracce biologiche-ematiche sui resti di indumenti indossati dalla vittima (per comprende appieno la dinamica dell’omicidio), oppure se le formazioni pilifere ritrovate dagli altri periti (merceologo e biologo) su tegole, reggiseno, mani e slip, fossero o meno di natura umana e, in caso positivo, se di essi fosse possibile un esame di tipo mitocondriale…; il tutto, come per altri reperti, anche a fini comparativi con il Dna della vittima o in caso negativo con il Dna dell’indagato». Il gip contesta inoltre la mancata descrizione scientifica degli strumenti utilizzati per i rilievi sul Dna: «mancano informazioni sul concetto di «kit normalmente in uso», locuzione non definitoria di eventuali altri kit «non normalmente in uso» e sulla quale si innesta l’ulteriore accertamento, anche preliminarmente come metodologia di indagine, se vi fosse la possibilità di ulteriori, più evoluti ed aggiornati (se esistenti) strumenti di rilevazione di Dna antichi e degradati eventualmente impiegabili per il caso in esame, così superando la relatività di una dizione di «normalità» di cui allo stato non è precisato il riferimento temporale-logisticio-modale-scientifico». Non basta: il gip contesta anche il criterio di numerazione dei reperti. «Manca, infine, – conclude – un criterio di numerazione assoluto ed oggettivo dei reperti analizzati, sovrapponibile ed aderente alla numerazione dei reperti affidati».

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