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Tra gli imputati c’è un magistrato accusato di falso. Non un magistrato qualunque ma lo stesso che è balzato agli onori delle cronache nazionali per la vicenda dei tre operai licenziati agli inizi di luglio dallo stabilimento Fiat di Melfi. Lo stesso che aveva appena prestato giuramento quando ha reintegrato, sempre alla Fiat di Melfi, Antonio Passannante, che era stato licenziato per colpa di un’indagine per terrorismo da cui sarebbe uscito scagionato. Quindi il processo va a Catanzaro per tutti e 32 gli imputati.
Lo ha deciso il gup di Potenza Rosa Larocca al termine della prima udienza del processo “squola”, nato da un’indagine dei carabinieri del nucleo provinciale investigativo di Potenza. Per l’accusa alcuni studenti dell’Itis Marconi, finiti a loro volta tra gli imputati, risultavano presenti sui registri di classe, ma in realtà erano altrove: e i docenti non trascrivevano le assenze per evitare la loro mancata ammissione agli esami. Quindi falso in atto pubblico, e associazione a delinquere per i due gestori della scuola parificata di contrada Rossellino e il direttore pro tempore, che nel frattempo è andato in pensione. A maggio del 2009 gli arresti domiciliari Gerardo e Raffaela Gambardella, i titolari, rimessi subito in libertà dal Tribunale del riesame. L’inchiesta è stata coordinata dal sostituto procuratore Henry John Woodcock, mentre a firmare l’ordinanza di custodia cautelare per i due Gambardella è stato il giudice per le indagini preliminari Gerardina Romaniello. Gli investigatori hanno ipotizzato che i titolari dell’istituto, «di concerto» con l’ex dirigente scolastico e i docenti (tutti imputati), avessero creato un’associazione a delinquere che si è concretizzata in numerosi reati singoli di falso in atto pubblico. In pratica – secondo quanto ricostruito dai carabinieri con la collaborazione di funzionari dell’Inps – dal 2004, al «Marconi» l’appello era fittizio. Gli insegnanti e tra questi il giudice Amerigo Palma, che a quei tempi non aveva ancora vinto il concorso in magistratura e avrebbe svolto una brevissima supplenza all’Istituto Marconi, in pratica avrebbero più volte falsificato i registri di classe con l’obiettivo di non far superare agli alunni (che nel frattempo, «consapevoli», erano al lavoro in uffici pubblici o in aziende private) il limite consentito di assenze. In caso contrario, non avrebbero potuto partecipare agli esami di Stato o a quelli di abilitazione per accedere al quinto anno delle scuole superiori. Del resto gli alunni pagavano «laute somme» per l’iscrizione alla scuola e quindi come garanzia di poter ottenere i diplomi di maturità tecnica e scientifica.
l.amato@luedi.it

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