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di Nino D’Agostino
L’assessore regionale alla sanità, Martorano, sta utilmente mettendo intorno al tavolo gli stati generali della salute operanti in Basilicata, in vista della predisposizione del piano sanitario regionale, da approntare entro il corrente anno.
In riferimento al rapporto tra ospedali e territorio, svoltosi l’11 novembre scorso,che a ben vedere è il tema cruciale intorno al quale ruotano tutte le altre questioni, sono emersi i nodi principali che occorrerà sciogliere per creare strutture sanitarie più moderne.
Le variabili da fronteggiare sono sostanzialmente di un triplice ordine: la dimensione della popolazione lucana, la sua distribuzione sul territorio e l’emigrazione sanitaria.
Le statistiche ci dicono in modo incontrovertibile che i bisogni sanitari sono direttamente proporzionali alle dimensioni della popolazione: si sa, volendo banalizzare, che 100 abitanti di un dato territorio vanno incontro ad una percentuale di parti, piuttosto che di infarti o di altri insulti alla salute che oscilla in confini statistici ben delimitati.
Ciò significa, in soldoni, che una popolazione di 590 mila abitanti esprime esigenze abbastanza configurabili sul piano delle strutture sanitarie di cui disporre. Certo la sua distribuzione territoriale pone evidentemente dei problemi:un conto è averla presente in un solo punto, un altro è registrare la sua polverizzazione sul territorio, come effettivamente succede in Basilicata.
La concentrazione renderebbe alquanto semplice il dimensionamento ospedaliero:forse ne sarebbe sufficiente uno. La diffusione demografica implica invece la necessità di dover prevedere più strutture ospedaliere.
Ma disporre di 17 ospedali, tanti sono attualmente in Basilicata, è chiaramente il risultato di una programmazione (si fa per dire) che ha prestato più attenzione agli interessi corporativi di medici, paramedici, personale amministrativo che a quello dei pazienti; come dire, più interesse per il tornaconto politico e corporativo che per la salute dei lucani.
È ben noto che le strutture ospedaliere sono capaci strumenti di consenso elettorale, veicoli formidabili di invasività della politica, ruotando intorno ad essi un grande volume di affari, la pressocchè totale popolazione regionale, la possibilità di poter occupare e gestire una notevole forza lavoro.
La localizzazione di diversi ospedali è stata frutto di “sfizi” elettorali, ha obbedito a logiche geo-politiche.
È servita per blindare la corporazione politica che si regge sulla sovrapposizione, anche fisica, degli apparati politici con quelli burocratici.
In questo scenario, va letta la grande rappresentanza dei medici nelle varie istituzioni regionali, provinciali e comunali e, di contro, la presenza massiccia di funzionari regionali ai vertici delle strutture sanitarie.
È appena il caso di osservare che le scelte localizzative ed organizzative in materia sanitaria hanno prodotto poche eccellenze e molte disfunzioni, molti sprechi. Gli esperti dell’Agenas (l’agenzia nazionale della sanità) che hanno partecipato al convegno suddetto e che sono incaricati di fare il piano sulla sanità lucana, sia pure con molta prudenza, hanno esplicitato le grandi criticità del settore in questione: dai ricoveri impropri al ricorso abnorme al parto cesareo, dalla scarsa produttività del lavoro registrabile in alcuni ospedali che si contrappone all’eccessivo carico di lavoro di altri alla difficoltà di attivare protocolli d’intesa tra strutture ospedaliere centrali e periferiche, al maggiore rischio che i malati incontrano in Basilicata rispetto a realtà esterne e così via.
Ne è emerso un quadro che rispecchia condizioni riscontrabili in altri settori di attività: la Basilicata, sul piano della equità, anche in materia sanitaria, ha un gap rilevante con le regioni più avanzate del Paese.
L’offerta sanitaria, incentrata sui 17 ospedali, non è più sostenibile, costa molto e produce servizi modesti. L’idea di considerare i costi sanitari regionali tra quelli che dovranno fare media con le regioni più efficienti per calcolare i costi standard da sostenere nel prossimo futuro non significa che la Basilicata possa considerarsi una realtà virtuosa: dovrebbe servire per abbassare la media dei costi standard, essendo la regione la meno peggio tra le regioni del mezzogiorno consentendo meno problemi in termini di riallineamento delle regioni meridionali, alquanto distanti, come è noto, da situazioni ottimali. Anche la Basilicata registra un deficit di gestione notevole e dovrà comunque contenere la spesa sanitaria per adeguarsi alla media nazionale. Il futuro della sanità è basato su un modello che prevede filtri molto diffusi sul territorio di assistenza dei malati ed una offerta ospedaliera concentrata in pochi punti per garantire prestazioni adeguate alla complessità degli interventi richiesti, un modello che sarà meno costoso e più efficiente, se si saprà avere coraggio di adoperare il bisturi nelle parti più critiche.
I piccoli ospedali-sostengono gli esperti-non hanno futuro, sono un pericolo e non un servizio per i pazienti.
Orientarsi verso il nuovo modello non sarà agevole: gli interessi corporativi sono molto diversificati ed attengono alla politica, agli addetti alla sanità, ad istanze campanilistiche.
Che si sia chiamato Martorano, che proviene dal mondo imprenditoriale, alla guida della sanità lucana è un segnale nella direzione del rinnovamento del sistema in esame. Potrà essere supportato da una giovane classe politica che sta interessando i partiti e le principali amministrazioni pubbliche regionali e provinciali che occupano i centri decisionali.
È la sfida che i nuovi vertici hanno di fronte, non sono chiamati a replicare vecchie impostazioni, alle quali, tra l’altro, non hanno concorso.
Vi è da credere che, dal modo con cui si affronterà la riforma sanitaria, potremo capire, se siamo finalmente in presenza di un nuovo ceto politico o meno.

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