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POTENZA – Prima l’ondata di solidarietà e sostegno di un Paese che davanti alla tragedia si ritrova unito come non mai. Poi, il business della catastrofe che si alimenta di quella «produzione industriale della commozione» a cui siamo sempre più abituati. In Irpinia e Basilicata, così come a L’Aquila. Il terremoto è la grande occasione per i grossi affari di predatori di ogni specie. Ma è anche terreno fertile su cui attecchisce lo sfruttamento della politica. Così nel suo ultimo libro “Terremoti spa”, edito da Rizzoli, il giornalista di Repubblica, Antonello Caporale, legge questi ultimi trenta anni di storia attraverso quattro grandi disastri: dal sisma dell’ ‘80 a quello dell’Abruzzo nel 2009, passando da Molise e Umbria. E non è un caso che l’autore originario di uno dei Comuni maggiormente colpiti dal terremoto dell’ ‘80, e profondo conoscitore delle dinamiche del post sisma, abbia scelto di presentare il suo volume a Potenza, luogo simbolo di quel terribile evento, a pochi giorni dal suo trentesimo anniversario. «Perché – evidenzia il direttore del Quotidiano della Basilicata, Paride Leporace, che ha moderato un dibattito di elevato spessore – quel 23 novembre va assunto come data costituente della nostra storia». E’ lo spartiacque per un Paese che si trova del tutto impreparato davanti alla catastrofe e che per la prima volta prova a organizzare una risposta collettiva. Ma è anche il punto di inizio di quella che potrebbe essere definita come una seconda questione meridionale. E’ la base su cui la Lega Nord fonderà l’intolleranza verso il Sud. E’ la scossa che provoca un riassetto della composizione sociale. Ed è l’evento che segnerà il nascere della televisione del dolore. Un avvenimento destinato a cambiare le dinamiche di un intero Paese. Davanti al quale la memoria non può arrendersi al trascorrere del tempo. Conoscere il passato per comprendere il presente, ma soprattutto per programmare il futuro, ricorda Antonio Danello, presidente dell’associazione Città nuova che, insieme al Centro studi documentazione storico e sociale, ha voluto e organizzato l’evento.
Di quella storia il nostro territorio porta ancora i segni evidenti. Molti dei quali negativi. E’ il caso dell’industrializzazione che seguì al sisma, sostenuta dalle legge 219 dell’ ‘81 che prevedeva contributi alle nuove iniziative imprenditoriali sul territorio regionale, con l’individuazione di sette aree industriali. Per lo più un flop: diventò subito occasione d’affare per molti sciacalli che si fecero vivi da questi parti. Senza veri programmi aziendali e spesso con la sola intenzione di intascare i contributi. A ricordare i numeri del fallimento il commissario del Consorzio per lo sviluppo industriale di Potenza, Donato Salvatore. Innanzitutto parla il dato occupazionale: solo meno di un terzo degli addetti previsti inizialmente trovarono realmente un posto di lavoro. Delle 115 aziende ammesse a finanziamento solo una trentina erano ancora in attività. Alle imprese fantasma e agli stabilimenti dismessi va aggiunto il danno provocato dalle tante vicende giudiziarie e dai contenziosi che ne conseguirono, di cui ancora oggi si paga lo scotto. «E’ alla luce di quegli errori – spiega Salvatore – che oggi va ripensata la nuova politica industriale».
A patto – è l’invito di Pietro Simonetti – di un recupero autentico della nostra storia. O meglio di uscire «dal pantano dell’oblio». A cominciare dallo sfatare il falso mito per il quale la Basilicata non ha industria e che quindi possa farne a meno. Lui che è stato membro della commissione parlamentare d’inchiesta sull’utilizzo dei fondi del terremoto individua «nella gestione imposta dal governo centrale», ma soprattutto nella «carenza di controllo e di gestione», le cause del fallimento dell’industrializzazione che seguì all ‘80. «E se la Basilicata non può vivere senza industria», dall’ex consigliere regionale arriva la proposta: portare «la fabbrica» dei derivati del petrolio in Lucania. Un settore che nel Nord Italia dà lavoro a 20mila addetti.
Un monito arriva dal governatore De Filippo: «Troppo spesso il Sud rischia di essere ulteriormente penalizzato da un’autocritica feroce da parte di apocalittici e sciamani». E il terremoto dell’ ‘80 – «che non è la solita storia del Mezzogiorno ma la solita storia d’Italia» – può facilmente prestarsi a questo tipo di interpretazione. «La nostra Basilicata – dice ancora il presidente – che ebbe grande capacità di reazione e che ancora oggi ha molte potenzialità da sfruttare, non può prestarsi al gioco di chi ha cercato di far passare l’idea che quella catastrofe fosse l’occasione per risolvere i mali del divario tra Nord e Sud, che è antico e ha radici ben più profonde. Occorre essere realisti. Molto spesso è la reazione al bisogno che produce scorciatoie programmatiche. Per una corretta pianificazione occorre freddezza». Poi delinea un orizzonte: «Abbiamo bisogno di individuare nuovi simboli che esaltino le nostre risorse, in grado di proiettarci altrove».
Il ricco dibattito passa anche attraverso l’analisi degli effetti che il sisma produsse sugli assetti politici e sulla composizione della società. Il contributo arriva dai ricordi personali dei relatori, allora politici, sindacalisti e giornalisti alle prime armi. Per trovare le conclusioni argute e d’impatto di Antonello Caporale: dall’affaire rifiuti in Campania, al presidente del consiglio regionale calabrese che si è fatto rimborsare 250mila euro di buoni benzina, per raccontare un Paese che ormai ha scarsa capacità di indignazione. Per descrivere un Sud alla prese con una prevalente mentalità dell’elemosina che più che di altri soldi ha bisogno di «un atto emulativo». E un interrogativo su tutti: come cambiare, da dove cominciare? Dal recupero della memoria, con uno scatto che sia collettivo, risponde lo stesso autore che chiude con una proposta: quella di un progetto con le scuole superiori lucane per la realizzazione di un film. Immagini rubate dalla videocamera di un cellulare per indagare e conoscere questa Basilicata.

di MARIATERESA LABANCA

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