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Si è concluso con condanne praticamente dimezzate il processo di secondo grado per i 27 imputati ritenuti colpevoli al termine del processo seguito all’operazione «Harem», diretta contro un traffico di esseri umani. La Corte d’assise d’appello di Catanzaro, ieri, ha emesso la propria sentenza con la quale le condanne di primo grado – comprese fra i sedici ed i quattro anni di galera -, che il sostituto procuratore generale Giovanni Grisolia aveva chiesto di confermare, sono state tutte notevolmente ridotte, con soddisfazione del nutrito collegio difensivo, in cui figurano, tra gli altri, gli avvocati Marco Reina, Raffaele Fioresta, Giuseppe Vitale, Andrea Salcina.
In alcuni casi i giudici (presidente Cosentino, consigliere Petrini) hanno assolto gli imputati per singoli capi d’accusa, in altri, invece, hanno rideterminato le pene senza specificare nel dispositivo le motivazioni, che saranno depositate entro 90 giorni.
Al processo erano costituiti parte civile la Regione Calabria e la Provincia di Cosenza (rappresentati da Luigi Gullo e Antonella Canino) che già al termine del primo grado, il 20 marzo del 2009 davanti alla Corte d’assise di Cosenza, ottennero il risarcimento dei danni. L’operazione «Harem» seguì alle indagini dei Carabinieri del Ros , coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che sfociarono, nel dicembre del 2005, in un maxi blitz per l’esecuzione di 80 provvedimenti di custodia cautelare. Così gli investigatori ritennero di scompaginare una presunta organizzazione malavitosa, composta da albanesi e calabresi e radicata nella zona di Sibari, che gestiva una tratta di immigrati nel nostro Paese, e un traffico di prostituzione, armi e droga dall’Albania. Gli stupefacenti, secondo gli inquirenti, venivano smerciati nelle province di Cosenza, Crotone e Messina, mentre le armi andavano a incrementare gli arsenali della ‘ndrangheta.
Secondo l’accusa, inoltre, sarebbero state centinaia le ragazze, di nazionalità moldava, albanese, ucraina e romena, ridotte in schiavitù e fatte prostituire in Calabria e in altre regioni sotto il controllo degli albanesi, con il beneplacito della ‘ndrangheta, che in cambio avrebbe ricevuto droga e armi. Dopo la richiesta di rinvio a giudizio, avanzata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per oltre cento persone, moltissimi imputati chiesero il rito abbreviato, mentre altri furono mandati al dibattimento. Questo si concluse in Corte d’assise con diverse condanne, ventisette delle quali sono state dimezzate dai giudici d’appello.

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