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di ALBERTO VIRGILIO IL Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non tralascia occasione per esortare tutte le forze politiche e tutti i cittadini al rispetto per le istituzioni che formano la struttura dello Stato e assicurano la civile e pacifica convivenza. Lo ha ripetuto anche recentemente nel messaggio di saluto in occasione del primo congresso nazionale della Federazione della Sinistra. Ha in particolare osservato che la partecipazione delle giovani generazioni, dei lavoratori e dei cittadini alla vita politica ha carattere fondamentale. E’ un appello di grande valore morale e politico, al quale occorre rivolgere la dovuta attenzione. Uno degli elementi più deleteri nel contesto della convivenza collettiva è infatti costituito appunto dal distacco dei cittadini e di ogni formazione sociale dalle istituzioni tradizionali delineate con grande rigore nella Costituzione della Repubblica del 1948, che conserva tuttora piena validità giuridica e morale. Il tema delle riforme non può intaccare, anche nei punti che sembrano necessari, il principio fondamentale della separazione dei poteri dello Stato, sul quale sono fondate tutte le democrazie liberali. La classe politica recita da oltre venti anni il credo nelle riforme del sistema vigente, soprattutto nelle situazioni di travaglio e come antidoto per superare difficoltà del momento. Nessuno dubita sul fatto che alcune modifiche debbano essere introdotte nel vigente sistema istituzionale, come nessuno dubita che ciò debba essere attuato nel solco della tradizione democratica e liberale, secondo il modello tradizionale cui è ispirata la Costituzione. Le esortazioni del Capo dello Stato, volte a promuovere dialoghi costruttivi sulla delicata materia, sono tuttavia rimaste sostanzialmente disattese. Il governo attribuisce particolare importanza alla riforma della giustizia, che s’inquadra in quelle revisioni più generali di alcune parti della Costituzione, nel presupposto che siano ormai superate dalla evoluzione del sistema politico-istituzionale. Si parla di introduzione nel sistema di una nuova struttura costituzionale, secondo i modelli del semipresidenzialismo alla francese, del cancellierato tedesco o di altri esempi tratti da paesi esteri , ma praticamente tutto è ancora fermo allo stadio di proposte teoriche, senza neppure un accenno di azione concreta. Prima di esaminare brevemente i vari aspetti del tema della giustizia , riteniamo opportune ricordare ancora una volta che la Carta fondamentale della Repubblica, anche se risale ad anni lontani, conserva tuttora una grande validità , sia dal punto di vista istituzionale sia dal lato politico e sociale , specialmente nella parte in cui enuncia i princìpi fondamentali , i diritti e i doveri dei cittadini , i rapporti civili, etico-sociali ed economici. Si tratta di un condensato normativo di grande spessore per chiarezza di dettato e per il contenuto specifico delle singole disposizioni, elaborato da illustri personalità di ogni orientamento politico e intellettuale, anche stilisticamente pregevole, difficilmente emendabile nel suo impianto politico e sociale. Questa riflessione vale per tutte le sezioni del documento, che potranno anche richiedere alcune modifiche, ma senza che queste tocchino in forma grave le linee direttive dell’ordinamento della Repubblica , fondato chiaramente sul principio della separazione dei poteri dello Stato secondo la tradizionale tripartizione tra legislativo , esecutivo e giudiziario. Alla rigorosa conservazione di tale principio, comune a tutte le democrazie liberali, sembrano essere principalmente rivolti gli autorevoli interventi del Presidente Giorgio Napolitano, il quale ha più volte sottolineato l’esigenza di non turbare, in occasione delle riforme del sistema ritenute necessarie, gli equilibri istituzionali perchè essi – si può aggiungere – esprimono l’essenza stessa della democrazia. Per quanto riguarda specificamente il settore della magistratura, bisogna considerare che l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario da ogni altro potere furono un punto fermo e una conquista di civiltà giuridica in sede di deliberazione della Carta del 1948, dopo un lungo travaglio storico durante il quale i giudici erano soggetti al controllo del potere esecutivo. Tornare indietro anche di poco, rispetto all’attuale assetto che la magistratura ha nel quadro costituzionale, significherebbe indebolire la prerogativa di autonomia e indipendenza di cui ora gode l’ordine giudiziario, con discapito dell’interesse collettivo per una giustizia rapida e imparziale. Non intendiamo negare che occorrano provvedimenti atti a imprimere maggiore efficienza nell’assolvimento del servizio della giustizia, principalmente per abbreviare sensibilmente la eccessiva durata dei processi, ma questa esigenza non puà comportare una modifica della posizione che la Costituzione ha stabilito con riguardo al rapporto tra l’ordine giudiziario e gli altri poteri dello Stato. L’interesse generale del Paese è l’obiettivo comune di tutti e di ciascun organo pubblico, per cui non è concepibile che le istituzioni mostrino contrapposizioni e contrasti di idee tra esse, anzichè collaborare attivamente, ciascuna nel suo ruolo, al conseguimento dell’obiettivo sopra indicato. Imboccare la la strada del dialogo costruttivo significa non soltanto aderire all’invito del Presidente della Repubblica, che esprime il più alto e imparziale livello dei pubblici poteri, ma anche dare segno di comprensione e di civiltà politica e sociale. La speranza è che questo clima si ristabilisca, torni cioè come è stato nei decenni passati. Per la questione delle riforme di carattere generale sembra indispensabile che una commissione di ampia portata e di alto profilo, eletta in Parlamento e della quale facciano parte anche giuristi di ogni tendenza, particolarmente esperti in diritto pubblico (che in Italia certamente non mancano), affronti il problema con la massima attenzione e con la massima cautela, tenendo conto della nostra tradizione storica e giuridica, che non è certo inferiore a quella di altri paesi. L’attuale momento di confusione e di crisi dovrà in qualche modo terminare perchè è da tutti avvertito come un transitorio fenomeno negativo nella storia del nostro Paese. In attesa che ciò avvenga sembra indispensabile che tutti I protagonisti della politica e delle istituzioni mostrino senso di responsabilità e di saggezza.

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