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E’ da molti giorni che a Matera tira un’aria di festa. Martedì i liceali e alcuni universitari hanno riempito a fiotti le strade della città, protestando per le-solite-cose e riunendosi tutti in Piazza Pascoli preceduti da un camion bianco con bandiere svolazzanti e megafoni accesi. In questa occasione anche il sindaco Salvatore Adduce, a metà pomeriggio, circondato da un piccolo gruppo di giovani-ribelli-rimasti, si è reso disponibile a dare loro spiegazioni; poi, solo all’imbrunire, lo sciopero come-da-copione è terminato, con salti e spintoni a suon di regge, il tutto intorno alla famosa scultura a forma di goccia, come si trattasse di un antico rito propiziatorio.

In serata Palazzo Lanfranchi ha aperto le porte a un matrimonio civile, i presepi sparsi per il centro della città si sono illuminati, e nell’aria umida della Matera “alta” è andato agitandosi l’odore denso delle “pettole” che aprono le porte al Natale; ma un’altra cosa è accaduta martedì sera poco lontano da quel centro addobbato, una cosa dal sapore amaro, e che ha poco a che vedere con il Natale e i buoni sentimenti a cui la festa ogni anno ipocritamente fa affidamento: un omicidio che molto probabilmente poteva essere evitato e che ha messo sotto choc l’intera città, rimasta incredula e istupidita da questo tragico episodio.

Una giovane donna di trentotto anni, infatti, è stata accoltellata poco dopo la Milizia, in Via Nazionale – in un rione che sembra sospeso sul Sasso Caveoso – dal suo ex compagno, chiamato dalla gente del poso “Lino”. Il giorno dell’Immacolata, dopo aver appreso la notizia dai giornali, mi sono recata proprio in quel rione per parlare con la gente, e cercare di capire come mai nessuno sia riuscito a intervenire in tempo per salvare Anna Rosa. Un ragazzo, buttando il capo fuori dal finestrino di una macchina in corsa, ha gridato la notizia tutto eccitato, rivolgendosi a un uomo che mi stava parlando: “Ue’… Lino lo ditt e lo fatt…” e poi è scomparso sgommando.

L’uomo al mio fianco mi ha tradotto l’esclamazione: “Lino lo ha detto e lo ha fatto”, credendo di parlare con un’intrusa, una di fuori, che voleva frugare – spinta dalla moda del momento – nelle vite degli altri per tirarne fuori qualche scoop; ma subito gli ho fatto capire che non ero lì a caccia di pettegolezzi, ma solo per cercare di vederci più chiaro. Volevo capire come mai, in una giornata di festa un poco uggiosa e sonnolenta, un caso così eclatante di stalking era passato sotto al naso di tutti senza che nessuno ne avesse annusato la puzza di morte. L’uomo mi dice che “lo sapevamo tutti che prima o poi sarebbe accaduto, perché quello la perseguitava alla luce del sole. Lo vedevamo seguirla sempre in sella al suo motorino. La seguiva anche sotto alla fermata del pullman, sopra il marciapiede. La perseguitava e la minacciava, anche se non si poteva più avvicinare a lei perché gli era stato vietato”.

Un’altra signora bionda e robusta, con gli occhiali da sole scuri sulla fronte, sentendoci parlare si avvicina e mi dice: “Anna Rosa era stata vista alcune volte entrare di sua spontanea volontà a casa del suo carnefice, e forse per questo motivo nessuno faceva niente, perché non si capiva bene che rapporto c’era tra i due. E’ vero che in questo rione tutti conoscevano la coppia, e che questo Lino, ultimamente, diceva in giro che prima o poi avrebbe realizzato ciò che aveva provato a fare cinque anni fa”.

E’ risaputo, infatti, che cinque anni fa quest’uomo aveva già attentato alla vita di Anna Rosa, infliggendole, anche in quel caso, una serie di coltellate. Un altro uomo con la mano fasciata, appena uscito dalla Chiesa di San Rocco e con in una busta il “pane della madonna”, interviene dicendomi: “Anna Rosa aveva denunciato tante volte il suo assassino, e che aveva molta paura per lei e per sua figlia, ma che nessuno faceva niente per proteggerla”. Poi, quando gli chiedo di accompagnarmi nel luogo del delitto, lui si irrigidisce e mi dice che deve rientrare a casa per farsi una doccia, ché ha passato la mattinata a fare jogging, ed è venuto in chiesa solo per fare una preghiera veloce.

Lo saluto e mi faccio indicare dalla gente rimasta al mio fianco la casa dove Anna Rosa viveva con i suoi tre figli e dove è stata assassinata. Mi stringo il giubbotto al petto e oltrepasso la Milizia, camminando inconsapevolmente lungo il marciapiede che poche ore prima aveva ospitato la furia omicida di Lino. Un gruppo di ragazzi fermi ai bordi di una macchina mi scruta da lontano. Uno di loro ha gli occhi arrossati e sta piangendo addosso a una ragazzina bassa e magra. Penso che forse siano loro i personaggi o le comparse della tragedia messa in atto la sera prima, e subito mi avvicino, mentre il ragazzo si stacca dalla sua amica che corre via per poi ritornare, un attimo dopo, con un pacchetto di sigarette in mano. “Non voglio parlare con nessuno” mi dice il ragazzo, che scopro essere il figlio di Anna Rosa, proprio quello che ha assistito alla “crocifissione” di sua madre. “Non mi far parlare, sto troppo male, sono ancora scioccato, non voglio parlare con nessuno”. Un po’ di silenzio, la mia testa abbassata, gli sfioro le guance con un bacio di condoglianze, anche se non lo conosco, e non posso condividerne fino in fondo il dolore, il suo lutto, quelle parole di affetto che non gli saranno mai più rivolte, la paura di non aver fatto abbastanza, la rabbia immensa. Gli batto la mano sul braccio a mo’ di consolazione e provo a rassicurarlo, a dirgli che so benissimo di non c’entrare niente in questa faccenda, e che mi sono trovata per caso a Matera, per le feste, e che sono turbata come credo ogni donna e madre per ciò che è accaduto, e che voglio parlargli solo per provare a capire perché questa donna sia stata abbandonata al proprio destino tragico.

Il dolore che affligge Matera è un dolore regionale, che non accenderà mai le luci degli studi televisivi; è un dolore che non porterà a niente, forse solo alla fine di un incubo. Il dolore di questo ragazzo dai capelli scuri e dagli occhi slabbrati dal pianto, nasce soprattutto dal senso di colpa per non essere intervenuto in tempo, per non avere bloccato quell’uomo che in pochi secondi ha frugato nel corpo di sua madre, nel corpo della persona amata da cui da tempo oramai era stato cacciato via, esiliato forse da un preciso immaginario amoroso, e portato a vivere una strana forma di “lutto amoroso”.

“L’ha sgozzata in pochi secondi”, mi dice, “e lei, quando lo ha visto, ha urlato: ‘c’è Lino, corri c’è Lino’. Poi lui l’ha presa di spalle, le ha messo un braccio intorno al collo e le ha detto: ‘senti un po’’, e mentre mia madre rispondeva debolmente ‘io non ti ho fatto niente’, lui l’ha sgozzata proprio su questi scalini, finendola con delle coltellate alla spalla. Io non c’è l’ho fatta a difenderla, ho subito chiamato la polizia… è per questo che adesso provo solo una grande rabbia. Non capisco, ora che l’ha ammazzata, che cosa ha ottenuto. Ha tolto all’affetto di sua figlia una madre. E’ da anni che ci fa vivere nel terrore. Mia madre non c’è la faceva più. Lui picchiava pure mia sorella, soprattutto quando era piccola e viveva ancora in casa con noi. Una volta sai cosa ha fatto il bastardo, dopo essere uscito dal carcere? Ha chiuso mia madre in garage e, soffocandola con una corda, l’ha minacciata, dicendole che se lei lo avesse denunciato ancora, lui l’avrebbe ammazzata. Quella volta non so come è riuscita a salvarsi, invece ieri non c’è stato verso. E’ arrivato deciso. Doveva mettere fine a tutto, perché mia madre doveva essere solo sua”.

Nel rione la gente mi dice che Anna Rosa, da ragazza, era molto bella, e che solo in questo periodo, forse inconsciamente, per camuffare la sua bellezza, e rendersi meno piacente agli occhi del suo persecutore, aveva preso a ingrassare. Saluto questo giovane ragazzo e la sua amica, lo ringrazio per aver condiviso anche se con difficoltà il suo dolore con me, e gli dico le solite parole che si possono dire in queste circostanze. Un falco percorre la linea d’ombra che in questo caso divide la Matera “alta” dalla Matera “bassa”, quella dei Sassi, dove le urla strazianti di Anna Rosa hanno trovato la loro eco, e ripenso alle parole ammonitrici di Pasolini che, in una sua ultima intervista concessa a Furio Colombo, appena prima di morire, disse: “Siamo tutti in pericolo”.

Dora Albanese

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