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di FRANCESCO BOCHICCHIO
LO scandalo Wikileaks ha mostrato la dimensione internazionale di Berlusconi, screditato presso i partner internazionali a causa della mancanza assoluta di attendibilità e dei comportamenti disinvolti in privato come in pubblico. Il premier è incapace di contribuire a una politica estera comune, in particolare nei confronti della Russia, con il cui “leader” Putin ha in comune analoghi atteggiamenti da satrapo orientale o da capo sudamericano, oltre ad interessi pubblici e privati. Però, al momento di trarre le conclusioni, Hillary Clinton si tira indietro ed elogia espressamente Berlusconi: il grande (per modo di dire) “barzellettiere” dimostra per l’ennesima volta di avere la pelle dura e di trovare sempre la capacità di tirar fuori il coniglio dal cilindro. Dove sta l’arcano? Risultano certamente importanti la circostanza che l’Italia è il Paese marginale dell’Occidente, tollerato e tutelato ma solo in quanto privo di credibilità e di autorevolezza, così come d’altro canto la necessità di non provocare scossoni in Occidente in un periodo di grave crisi economica. Ma alla fine si rivelano attenuanti generiche che quindi si rivelano inidonee a fornire la spiegazione di un intervento così forte a tutela di Berlusconi, proprio nel momento in cui lo stesso si trova in una posizione che richiede solo una piccola spintarella per affondare definitivamente. Le stesse circostanze avrebbero potuto ben più coerentemente giustificare un intervento tampone per avviare una fase di transizione programmata. La realtà è che l’Occidente vive in un momento di gravissima crisi, in quanto la necessità di registrare un cambiamento radicale di rotta rispetto all’unilateralismo successivo alla caduta del muro di Berlino, necessità dovuta allo stato di frizione con il Medio Oriente e con l’Oriente e alla gravissima politica economica e che portato all’elezione di Obama, non sta trovando uno sbocco costruttivo. L’Occidente è quindi avviluppato in una sorta di mediazione spesso fine a sé stessa e non suscettibile di trovare un quadro programmatico unitario e una direzione coerente. Una politica non più unilaterale ma rispondente al pieno rispetto del diritto internazionale – e nel contempo forte e decisa – è del tutto latitante. In tale situazione di vuoto politico internazionale Berlusconi è riuscito a farsi un ruolo di nicchia e di rendita che lo rende inattaccabile (del resto, al pari di quello che succede in Italia). La cacciata di Berlusconi è quindi affare solo dell’Italia e degli italiani: e ciò è fattore anche di democrazia, anche per evitare ingerenze esterne nelle faccende interne dell’Italia. Ma che i rapporti internazionali non siano condizionati dalla credibilità dei singoli “partner” è un elemento di decadenza e di crisi dei rapporti internazionali stessi. La debolezza internazionale dell’Italia, inserendosi in un Occidente a sua volta in crisi, costituisce un elemento perverso di condizionamento negativo a vicenda. L’alternativa a Berlusconi richiede la predisposizione a breve di un programma di politica internazionale, non onnicomprensivo, il che è impossibile alla luce dell’eterogeneità dello schieramento antiberlusconiano, ma inequivocabile, su pochi punti fondamentali. A partire dal primato indiscusso del diritto internazionale, dalla predisposizione di una pace equa in Medio-Oriente – essenziali per riportare l’Italia al centro del Mediterraneo – e dalla redazione di una politica economica e energetica comune dell’Europa, anche nei confronti della Russia. E’ utopia questa? Beh, allora, ci si tenga ben stretti il grande (si fa per dire) “barzellettiere” e la si smetta di lamentarsi in maniera infruttuosa e sterile, propria di un vittimismo tipico dell’Italia. Ed è proprio questo vittimismo che costituisce uno dei difetti atavici nazionali, che ci hanno portato in questa tragicomica situazione.

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