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di NINO D’AGOSTINO
Il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, ha rilanciato, di recente, in sede comunitaria, la questione meridionale,chiedendo di concedere la fiscalità di vantaggio in favore del mezzogiorno.
Tremonti, con buona pace della Lega Nord, è consapevole che molti problemi, i più importanti, si risolvono a livello europeo, non ripiegandosi in ottiche localistiche: ciò vale soprattutto per un paese come l’Italia che fa fatica a concepire una qualsiasi riforma.
Non è un caso che decisioni che in Italia non avremmo mai preso da soli (vedi il pensionamento delle donne della PA a 65 anni, vedi la direttiva che impone alle pubbliche amministrazioni di saldare i propri debiti entro 30 giorni, prorogabili eccezionalmente a 60) ci sono state imposte da Bruxelles.
Su questa scia sta prendendo corpo l’idea dell’agenzia europea del debito che potrebbe emettere Ebond per impedire situazioni di default in cui stanno incappando le suddette nazioni, alle quali potrebbero aggiungersene altre.
Accanto a queste apprezzabili misure, ve ne sono altre che sono da ostacolo al processo di integrazione e sviluppo dell’Europa nel suo insieme.
Si tratta di misure, concepite in un’ottica burocratica, al di fuori e contro i principi basilari che regolano il rapporto tra l’economia ed i territori.
Ci si muove in contesti territoriali molto differenti, dove convivono aree avanzate con aree depresse, un dualismo territoriale che spesso mal si presta a politiche, come dire, “generaliste”.
Esempio plastico di tale errata impostazione riguarda proprio la Basilicata che è uscita dal novero delle regioni italiane più depresse, individuate dalle regioni inserite nell’obiettivo 1, in base ad un indice statistico molto grossolano, il reddito pro-capite, sottovalutando il modo con cui si calcola e trascurando fattori molto significativi della situazione in cui versa un territorio, come la demografia, gli indicatori di povertà, il livello della dotazione infrastrutturale e così via.
La Basilicata è in condizioni molto più precarie di altre regioni meridionali che restano nell’Ob. 1, ma viene valutata come regione in via di sviluppo, che come tale necessita di minori aiuti comunitari, sommando il danno ( meno risorse) alla beffa (regione apparentemente virtuosa).
E purtroppo, siamo di fronte ad una seconda regola dell’UE, come dire, “stupida” che colpisce anche la Basilicata: si ritiene che il problema della crescita economica dipenda dalla capacità di spesa, all’insegna secondo cui più si spende e meglio è.
La Commissione europea non ha visto l’altro corno del problema che riguarda la utilizzazione ottimale delle risorse impiegate.
Anche a livello europeo, si commette l’errore, in cui incorre la pubblica amministrazione italiana che consiste nel limitarsi a regolare, al netto delle inevitabili farraginosità, le procedure di spesa e non a valutare i risultati conseguiti.
Dovendo spendere comunque ( a prescindere come direbbe Totò), ogni fine anno le regioni imbarcano progetti spesso improbabili pur di garantirsi il massimo impegno di spesa possibile ed ottenere finanche premialità. I risultati poi si vedono, come dimostra la buona capacità di spesa dei fondi comunitari nel periodo 2000-2007 dalla regione Basilicata, senza conseguire effetti economici e d occupazionali significativi.
Ma c’è una terza regola stupida regalataci dalla UE che attiene pur sempre alla non considerazione delle esigenze dei territori: l’idea, cioè, di ragionare per Stati nazionali e non per le realtà che li compongono.
La UE concede all’Irlanda, con i suoi 5 milioni di abitanti di far pagare alle imprese una aliquota fiscale del 12,5%, pari alla metà di quella della media europea, decisione che ha consentito all’Irlanda di attrarre notevoli investimenti dall’estero e non concede analoga possibilità al Mezzogiorno d’Italia, con i suoi 22 milioni di abitanti.
Vale la forma giuridica e non la sostanza dello sviluppo dei territori, dove, cioè, effettivamente si gioca la partita della competitività.
Tremonti va sostenuto nella sua battaglia, ma gli va richiesta altrettanta coerenza nei provvedimenti nazionali: se è vero che la questione meridionale è questione nazionale e che quest’ultima è questione europea, ogni provvedimento, ogni politica deve avere una compatibilità in un ampio scenario.
In questa ottica, non serve una Banca del sud, ma che il mondo del credito nel suo insieme si faccia carico del finanziamento delle imprese al sud, come al nord, non serve un piano del sud, ma un piano nazionale, nel quale il sud ritrovi le sue opportunità, ma in un disegno di superamento del divario e non episodici sostegni per tirare a campare nel suo sottosviluppo.

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