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di Nino D’Agostino

Siamo alle solite: nei giorni scorsi la regione Basilicata ha suonato la gran cassa, sulla base della valutazione che la società di rating, Moody’s, ha fatto sui conti della sanità lucana.
Moodys ha parlato di “convincente gestione della sanità lucana”, un giudizio sul settore in questione che è stato utilizzato dal presidente della giunta regionale, Vito De Filippo, come dimostrazione di una buona qualità del lavoro che la giunta regionale ha fatto e sta facendo.
Nelle dichiarazioni regionali ci sono enfatizzazioni e forzature dell’analisi di Moody’s che possono prestarsi a non pochi equivoci.
In primo luogo, chiariamo un punto: il rating è un giudizio, espresso da una società esterna indipendente, che verte sulla capacità di un ente di pagare o meno i suoi debiti. Una società di rating valuta, dunque, la solvibilità di un soggetto.
Moody’s ha ritenuto l’ente Regione Basilicata, come dire, un buon pagatore dei suoi debiti.
Altre regioni meridionali sono state commissariate, perché non si sono messe nella stessa condizione della Basilicata, impegnandosi a predisporre piani di rientro del debito che stanno comportando tagli rilevanti dei posti letto degli ospedali e della spesa corrente di propria pertinenza. La tanto bistrattata Sicilia, per fare un esempio, ha previsto tagli per 2.400 posti letto ed ha già cominciato nel 2008, facendo leva sul tetto della spesa sanitaria corrente.
La Basilicata ha ritenuto di non scegliere la strada del commissariamento, pur presentando condizioni simili alle altre realtà meridionali, come è agevole evincere dal rapporto per singole regioni tra debito e popolazione servita. Scelta discutibile, finchè si vuole. Ma tant’è.
Lo ha potuto fare, perché “ beneficia dei proventi dell’estrazione petrolifera”, come segnala la stessa Moody’s, cosa a cui evidentemente non possono ricorrere le altre regioni.
Ma chiariamo un secondo punto, perché diversamente ci prendiamo in giro.
La sanità lucana produce debiti che si aggirano sui 30 milioni di euro ogni anno, ha quindi deficit di gestione che sono strutturali, proprio perché si ripetono da lungo tempo.
Quando si ricorre a risorse che dovrebbero essere destinate ad investimenti per coprire spese correnti, si sprecano fondi pubblici, rinviando, ma non risolvendo, il problema di una cattiva amministrazione. Non è sana gestione in una famiglia pagare i debiti, attingendo dal” tesoretto” di famiglia (l’oro nero della Val d’Agri), molto più saggio è ridurre gli sprechi che si annidano nella spesa corrente: la sanità lucana è, purtroppo, su questo piano, ancora un terreno inesplorato, costa oltre un miliardo di euro all’anno, cifra all’interno della quale è possibile fare economie significative.
Capisco il valore mediatico di una notizia, ma se serve per minimizzare ,o peggio nascondere, un problema ineludibile come quello del sistema economicamente decotto in cui versa la sanità regionale, allora la questione assume aspetti inquietanti che possono vanificare ciò che di buono sta facendo la stessa giunta regionale in questi mesi di preparazione e predisposizione del piano sanitario regionale.
Gli incontri degli stati generali della sanità hanno consentito analisi puntuali sulla situazione sanitaria in Basilicata: siamo di fronte ad un modello superato, con larghe sacche di inefficienza.
Richiede cambiamenti profondi, superando l’impostazione ospedalicentrica attuale, chiamando i vari soggetti interessati a collaborare, a cominciare dai medici di base che dovrebbero gestire in modo più efficiente i propri pazienti, evitando i ricoveri impropri che incidono tantissimo sulle casse degli ospedali.
Le royalties del petrolio vanno restituite allo sviluppo della regione, diversamente si capirebbe poco il sacrificio dei paesi della Val d’Agri, in termini di compromissione ambientale, se le risorse in questione dovessero servire per mantenere presidi più funzionali a creare situazioni assistenziali che ad apportare benessere ai cittadini lucani.
La Regione Basilicata è chiamata a recuperare quello che lo Stato gli dà di meno, in termini di trasferimenti complessivi, facendo leva proprio sulla ottimizzazione del bilancio della sanità.
È chiaro che la riforma sanitaria implica costi politici e sociali notevoli, ma se la si vuole realizzare occorre, come diceva Salvemini, prendere decisioni coraggiose anche contro le contingenti pressioni popolari e corporative.

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