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di DOMENICO CERSOSIMO
L’innovazione è diventata cruciale. Il successo di istituzioni, organizzazioni e imprese è legato sempre più alle loro capacità di adottare innovazioni radicali, sistematiche, complesse. L’innovazione però non cade dal cielo, né scaturisce dall’agire spontaneo della “mano invisibile” della ricerca. L’evidenza empirica mostra che c’è bisogno di azioni intenzionali di una molteplicità di attori e di specifiche organizzazioni intermedie orientate a far incontrare offerta e domanda di conoscenza: l’innovazione presuppone la “mano visibile” dello Stato. Non bastano le tradizionali relazioni diadiche, informali e sporadiche, tra singolo ricercatore e singolo imprenditore, e neppure semplici accordi formali governo-università, governo-imprese, università-imprese. Il paradigma odierno dell’innovazione domanda apprendimento congiunto tra i tre attori della filiera: l’attivismo di una organizzazione pivot è importante ma il carattere strutturale dei processi di innovazione contemporanei presuppone sinergie e ricomposizioni strategiche, cambiamenti e aggiustamenti reciproci. Più della conoscenza specifica, distintiva dei singoli attori, conta la conoscenza potenzialmente collettiva, codificata. I moderni sistemi d’innovazione regionale non a caso si ispirano al modello della “Tripla Elica”, incentrato per l’appunto sulle interazioni e le retroazioni continue tra università, imprese e governo. L’università è l’”elica” principale, ma la sua efficacia innovativa è strettamente connessa alla co-evoluzione degli altri due attori. Non funziona un sistema a doppia o tripla velocità; non si producono effetti permanenti e apprezzabili con un soggetto che traina e gli altri che si lasciano passivamente trascinare; non si fa buona innovazione con i compartimementi stagno. Servono fertilizzazioni incrociate: difficilissime ma ineludibili se si vuole perseguire innovazione di sistema e non brandelli di innovazione. In Calabria prevale una configurazione a “triangolo” delle relazioni triadiche, caratterizzata cioè dalla netta divisione degli spazi di compentenze, di chiusura nel proprio angolo, mentre sarebbero necessari confini sfumati, intersezioni organizzative e di linguaggio tra i tre ambiti istituzionali, allineamento degli obiettivi. Stentiamo ad abbandonare il vizio dell’autoreferenzialità, l’illusione dell’autosufficienza e della distinzione ossessiva; al più siamo disponibili a praticare il gioco della sovrapposizione e della sommatoria, ma non quello dell’integrazione e del cambiamento dinamico. La Regione d’oggi sembra più inseguire eventi che esercitarsi nel faticoso e paziente lavoro del confronto e della costruzione condivisa di politiche per l’innovazione che, come è noto, sono le più difficili da intraprendere e implementare. Sembra che l’esposizione mediatica sia diventata prioritaria rispetto al fare bene, al fare bene insieme. Sembra altresì che la Regione sia più interessata a rapporti occasionali e focalizzati con università e studiosi extraregionali – facili e assai gratificanti sotto l’aspetto della visibilità immediata – piuttosto che impegnarsi nel lungo e complicato ispessimento delle relazioni istituzionali con università e stutture di ricerca regionali – mediaticamente forse poco spendibili ma determinanti ai fini della valorizzazione e del radicamento territoriale delle istituzioni scientifiche locali. Le imprese sono oggettivamente l’”elica” più debole. Perché strutturalmente sottodotate in termini di addetti, fatturato, capacità manageriali ed esposizione ai mercati esteri e, dunque, non in grado di esprimere una domanda qualificata di innovazione, se non nelle forme più elementari di innovazioni incrementali o tacite. Uno sforzo addizionale per rompere le convenienze all’inerzia e alle rendite tocca soprattutto all’università. Le università non sono torri d’avorio che devono difendersi dalla minacce della “lurida marea” circostante. Le nostre università sono corpi istituzionali sani, anche se non immuni da degenerazioni circoscritte, con riserve cognitive e potenziali d’innovazione e d’interazione ridondanti. Potrebbero quindi fare di più: rafforzando e dilatando le complementarietà di ricerca tra i tre atenei regionali; individuando strategie comuni di diffusione, trasferimento e applicazione dei risultati di ricerca; costruendo piattaforme scientifiche di comune interesse; condividendo uffici e figure professionali dedicate in grado di patroneggiare i linguaggi e le logiche organizzative dell’accademia e del mercato. Non si tratta di andare verso forme di “mercatizzazione” dell’università e della ricerca bensì di attrezzarle meglio sotto il profilo manageriale e imprenditoriale nelle attività di mercato: brevetti, spin-off e trasferimento tecnologico. In particolare, gli spin-off di ricerca, basati sulla congiunzione di saperi disparati non sempre presenti nel medesimo ateneo, sono determinanti sia per creare reti tra singoli e gruppi di ricercatori di università differenti, sia per avviare nuove imprese ad alta tecnologia (denominate “gazzelle high-tech” per la velocità di crescita economica e occupazionale) in grado di trasformare la conoscenza scientifica e tecnologica in prodotti e servizi innovativi. Negli spin-off decisivo è il ruolo dei fondatori che, spesso, oltre alle loro competenze tecniche e scientifiche sofisticate, sono costretti ad utilizzare i risparmi personali e familiari per avviare le imprese giacché, a causa dell’elevata rischiosità dei progetti imprenditoriali, hanno difficoltà a ricorrere a finanziamenti esterni, bancari e non. D’altro canto, i fondatori di imprese spin-off (professori e ricercatori) soffrono di norma anche per le modeste esperienze gestionali e imprenditoriali pregresse. Cosicchè, le nuove imprese “gazzelle” sono costrette a fare i conti, da un lato, con un’insufficiente disponibilità di risorse finanziarie (“funding gap”) e, dall’altro, con limiti di competenze manageriali (“knowledge gap”). Due carenze che l’”elica” universitaria non può evidentemente colmare e che necessitano dell’azione efficace e coordinata delle altre due “eliche” rappresentate dall’attore pubblico e dalle imprese. L’avvio dell’incubatore di nuove imprese ad alta tecnologia dell’Università della Calabria (TechNest) e le iniziative analoghe sorte o in via di lancio negli altri due atenei regionali sollecitano il buon funzionamento della Tripla Elica. Altrimenti rischiamo di assistere, ancora una volta, ad uno sviluppo tarpato, sotto la soglia potenziale e ad un’addizionalità limitata in termini di R&S, di innovazione di prodotto o di processo e di capacità cognitiva.

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