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di PIETRO MANCINI
Vittorio Feltri, paradossalmente, è l’ultima vittima del “metodo Boffo”, come venne definita la violenta campagna del “Giornale”, che provocò le dimissioni dell’allora direttore di “Avvenire”, condannato per molestie, ma preso di mira dal quotidiano di Paolo Berlusconi, dopo le sue critiche alle escort, che frequentavano Palazzo Grazioli, la residenza romana del premier ? È una delle interpretazioni più intriganti sull’ attacco, sferrato dall’ ex braccio destro di Feltri, Sandro Sallusti, al giornalista bergamasco, dopo che il neo-direttore editoriale di “Libero”, intervistato da Marino Bartoletti a Cortina d’Ampezzo, aveva “osato” ironizzare sulle ambizioni quirinalizie di Berlusconi: «Speriamo che non sia Silvio il successore di Napolitano, anche se con lui nel Palazzo ci si potrebbe divertire di più, con le escort sui letti di quelle austere stanze….». All’acida replica di Sallusti ( «Fini, Bocchino e Di Pietro possono contare su un nuovo alleato, Feltri ?»), l’ex numero uno del “Giornale” ha risposto per le rime: «Non sono anti-Cavaliere. Ma se Berlusconi, che non è Dio, sbaglia, sono libero di dirlo. Il mio ex vice mi deve delle scuse». E Maurizio Belpietro, che ha ricomposto con l’amico e vecchio maestro una coppia, protagonista di numerosi successi editoriali, non è stato in silenzio: «L’attacco di Sallusti? Una vigliaccata! Anzi, una vera e propria infamia, perché commessa contro un collega, che non può difendersi con la penna, in quanto è stato sospeso dall’Ordine dei giornalisti». L’ennesimo scontro tra permalosi big della carta stampata, come quelli che in passato videro protagonisti di epici duelli Indro Montanelli con Piero Ottone, poi con Eugenio Scalfari e infine con lo stesso Feltri? Che, nel 1994, dopo essere stato designato dal neo-leader politico, Berlusconi, sulla poltrona di nuovo direttore del “Giornale”, montanelliano per 20 anni, edito dal fratello del Cavaliere, arrivò a dare di “rimbambito” e di “voltagabbana” al mitico Indro. Dopo che l’Uomo di Fucecchio era stato caustico sul capo di “Forza Italia”, non azzeccando, tuttavia, la previsione sull’esito della discesa in campo di Silvio? Certo, questo elemento non va sottovalutato, così come conta il carattere, orgoglioso, di Feltri, berlusconiano, ma molto geloso della propria autonomia nella conduzione dei quotidiani e nella libertà dalle interferenze dei politici. E Vittorio, infatti, dopo aver rilanciato “Il Giornale”, ha preferito l’ennesima sfida alla comoda, ma non stimolante, nicchia di direttore editoriale, emarginato dalla coppia Sallusti-Santanchè, la emergente e ambiziosa sottosegretaria, responsabile della gestione della pubblicità e compagna del nuovo direttore. Ma la prima “ratio” della spaccatura tra i due quotidiani del centro-destra va fatta risalire alle novità, che Berlusconi ha introdotto nel teatrino politico-mediatico. I grandi giornali avevano il loro peso anche nella prima Repubblica. Ma, con l’irruzione e lo sviluppo delle tv di Mediaset, favorite dal grande amico di Silvio, l’allora premier, Bettino Craxi, in pochi anni, tutto è cambiato. Mega-contratti ai giornalisti, trattati come le star dello spettacolo, strappate alla Rai, personalizzazione della lotta politica, emarginazione dei pochi non obbedienti e non allineati alle scelte del Capo. E gli stessi metodi sono stati usati nella selezione del personale politico, di qualità non eccelsa. E, quando un dirigente accenna a esprimere qualche sia pur lieve dissenso, come di recente si è permesso di fare Giulio Tremonti e prima di lui le ministre Carfagna e Prestigiacomo, il “fuoco amico” si abbatte su costoro. Operazioni che adesso Feltri condanna, sostenendo che «è immorale accusare il ministro dell’Economia di essere un emulo di Fini», come ha fatto sul “Giornale” Mario Giordano, durissimo anche con Vittorio, il quale ritiene che gli attacchi dell’editorialista di Sallusti contro di lui “non li avrebbe fatti neppure il fazioso Santoro nei momenti peggiori”. Questa guerra si svolge tutta all’ interno del mondo berlusconiano, con Feltri-accostato da qualcuno a Guglielmo Giannini, fondatore del movimento qualunquista – che, ritenendo ormai vicino il Cavaliere a fine corsa, la partita si giocherà tutta sulla capacità di guidare l’opinione pubblica di centro-destra. E gli oppositori del governo svolgono un ruolo di silenziosi spettatori, limitandosi a fare il tifo a favore del personaggio, che considerano il rivale più temibile per il presidente del Pdl : nel 1995 la Lega, che D’Alema definì “una costola della sinistra”, poi l’ex missino Fini, sino alla sconfitta parlamentare del 14 dicembre scorso, e oggi Tremonti. La sinistra sconta non soltanto il grave errore politico di non aver sciolto il nodo del conflitto di interessi di Berlusconi, quando aveva i numeri per farlo in Parlamento. Ma anche l’ incapacità di presentare programmi, modelli di società e di leadership alternativi a quelli berlusconiani. E Fini, sinora, ha perso la sua partita con il suo ex fedele alleato, perché s’è mosso in campi, come la “persuasione” dei parlamentari indecisi, nei quali Silvio è più abile e può contare su mezzi molto più consistenti. Lo ha ben messo in rilevo un acuto scrittore siciliano di destra, Pietrangelo Buttafuoco: «Fini se ne va in giro con la spider decappottabile, ha aperto e chiuso la sua giacca da kamikaze, facendo personalmente telefonate per raccomandare i parenti della Tulliani in Rai. Mai le avrebbe fatte nella sua prima vita. Se la sinistra ha perdonato a Fini queste volgarità, è perché al Diavolo si preferisce, sempre, il Piccolo Diavolo, solo che adesso risulta tutto più complicato…». E, dopo il recente “flop” del presidente della Camera, adesso il centrosinistra, che ossequiò Montanelli, conservatore e in alcune fasi reazionario, dopo la rottura di Indro con il Cavaliere, blandirà e arruolerà il “compagno” Feltri? Nulla, ormai, si può escludere, benché Vittorio precisi: «Nella vita, certo, può capitare persino di passare con i nemici. Ma, se passassimo da Silvio a Bocchino, più che traditori, saremmo deficienti. E poi, a Palazzo Chigi, chi potrebbe andare al posto del Dottore di Arcore? La Prestigiacomo? Suvvia, non facciamo ridere! …». E gli italiani? Assistono, sconcertati, alle pugnalate e alle guerre nel centrodestra che, pur non coeso e spesso litigioso, dimostra maggiori capacità di cambiamento rispetto a una sinistra immobile. E, intanto, il Paese reale sollecita risposte sui problemi più gravi, in primo luogo disoccupazione e Sud, e la fine del dello stucchevole “gran ballo delle elezioni”, dove la maggioranza si preoccupa di imbarcare nuovi “peones” in Parlamento. Ma non assume una posizione chiara e definitiva, ma si limita a lanciare penultimatum, non pressata dall’opposizione, che teme il ricorso alle urne.

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