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di VINCENZO PIZZONIA
In Calabria i livelli di pericolosità connessi a frane, alluvioni, erosione costiera, terremoti, sono alti, ma non sono adeguatamente noti, e mancano attendibili scenari di rischio. Tali fenomeni hanno da sempre determinato lutti e rovine e frenato lo sviluppo della regione, ma la Calabria è priva di quadri conoscitivi adeguati, è priva cioè, di quegli strumenti su cui si deve e si può basare un efficace programma di messa in sicurezza del territorio, pur avendo da tempo strutture deputate alla costruzione e aggiornamento degli stessi. Gli analisti esperti dicono che la Calabria non ha la cultura della prevenzione e il sistema complessivo di governo del territorio presenta criticità rilevanti a cui concorrono un diffuso basso livello di competenze tecnico amministrative e comportamenti “grigi”. Fatto è che, in tema di difesa del suolo l’obiettivo della legge regionale ( L.R. 35/96 ) di redigere il piano di bacino che doveva avere il valore di piano territoriale di settore e costituire lo strumento mediante il quale pianificare e programmare le azioni e le norme di uso finalizzate alla conservazione, alla difesa ed alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque, non è stato raggiunto. E in tema di protezione civile, l’obiettivo della L.R. 4/97, di costruzione di mappe di pericolosità, di esposizione, di vulnerabilità delle singole zone, delle infrastrutture e del patrimonio edilizio, di elaborazione e aggiornamento delle mappe dei rischi, su cui basare fondamentali compiti di individuazione di esigenze e priorità di interventi di prevenzione, non è stato raggiunto. In un contesto geologico oggettivamente problematico, livelli presumibilmente molto elevati ti e perduranti di rischio idrogeologico e sismico, ma anche intollerabile degrado del territorio e inquinamento di risorse essenziali, sono il frutto di fenomeni negativi troppo a lungo tollerati, connessi a errate politiche urbanistiche, a espansione incontrollata degli insediamenti, al progressivo abbandono dei centri storici interni, alle aggressioni diffuse e sconvolgenti del territorio operate dalla “ ’ndrangheta”, all’abusivismo pervasivo, alle decretazioni d’urgenza, alle politiche assistenziali e di emergenza, e, in definitiva al malgoverno della Calabria. Chiunque voglia porre rimedio a tutto ciò deve certamente fare i conti, come in passato, con l’enorme divario tra le risorse economiche necessarie e quelle di volta in volta disponibili sempre esigue e sempre insufficienti. Ed a maggior ragione, la possibilità di conseguire risultati utili è legata alla capacità di mettere in campo idee e azioni innovative ed efficaci. Certamente è prioritaria la necessità che la programmazione delle opere di messa in sicurezza di abitati e infrastrutture, e di contrasto al degrado, scaturisca da una politica di prevenzione e non solo di gestione dell’emergenza, nella logica del piano e nell’ottica sistemica, e che l’efficacia delle opere non sia messa in discussione da progettazioni inadeguate o da inadeguata esecuzione. Tra le condizioni essenziali per conseguire risultati sono da contemplare l’abbandono della logica settoriale, che ha caratterizzato fino ad oggi, in particolare, lavori pubblici, protezione civile, ambiente e urbanistica, e dall’altra, il riordino di funzioni e competenze tra Regione e gli enti locali, come disegnato dai nuovi ordinamenti e con l’auspicio di centrare l’obiettivo del recupero di livelli di responsabilità, capacità ed efficienza mai registrati fino ad ora. Peraltro, aprendo un ciclo virtuoso che pone il territorio e le sue risorse al centro del processo di sviluppo della Calabria, è assolutamente necessario ricondurre il problema del rischio idrogeologico e del rischio sismico, nel contesto più ampio dei problemi da risolvere, per restituire anche qualità e funzionalità al sistema urbano territoriale, per garantire tutela e valorizzazione delle risorse naturali ambientali e del patrimonio storico culturale testimoniale della regione, per generare dunque fattori indispensabili per la salute, la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini, ma anche i fattori di competitività e attrattività del territorio, indispensabili per lo sviluppo. Per superare rapidamente i ritardi accumulati sarà necessario approntare gli strumenti mai realizzati, ma anche ricorrere ad altri e molteplici strumenti di pianificazione di settore e specialistici, rispondenti alla logica dell’integrazione delle politiche di tutela e salvaguardia delle risorse e di messa in sicurezza del territorio, con quelle dello sviluppo. Particolarissima attenzione andrà dedicata agli strumenti innovativi di pianificazione territoriale e urbanistica strutturati secondo gli indirizzi dettati dalle leggi moderne della pianificazione per il governo del territorio e della valutazione ambientale strategica, che diventano gli strumenti con cui perseguire la conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, dei centri storici, delle risorse naturali ambientali e paesaggistiche, ma anche la sicurezza e difesa dal rischio idrogeologico, sismico e da inquinamento, sia in un’ottica di maggiore garanzia del tessuto insediativo e delle attività produttive esistenti, che in un’ottica di sviluppo competitivo del territorio, sostenibilità dell’uso delle risorse, maggiore salubrità e qualità della vita. Ciò significa di fatto operare fortissimi cambiamenti a tutti i livelli, per dare attuazione ad una legge che la Calabria ha promulgato già nel 2002 e che – in attuazione dei principi di partecipazione e sussidiarietà, di cooperazione ma anche di responsabilità e autonomia delle amministrazioni sub regionali e locali, di efficacia della pianificazione, di equità e di solidarietà sociale, di sostenibilità – è destinata a disciplinare “ la pianificazione, la tutela e il recupero del territorio regionale, nonché l’esercizio delle competenze e delle funzioni amministrative ad esso attinenti” in maniera fortemente innovativa e coerente con principi e obiettivi della legge (L.R. 34/2002) che regola il riordino delle funzioni di Regione ed enti sub regionali e locali. Per l’impalcato di principi e regole indirizzato alla costruzione di un modello nuovo di governo del territorio e quindi alla costruzione di una società più giusta ed evoluta, questo strumento si è proposto come una sfida difficilissima, rivoluzionaria, in una regione afflitta , sempre secondo gli esperti, da: “- carenza nelle capacità amministrative e di governo dell’amministrazione pubblica regionale e sub-regionale, e carenza di competenze tecniche e amministrative; – scarsa capacità di attivazione progettuale del sistema socio-economico locale che esprime un livello inadeguato sia qualitativo che quantitativo; – scarsa trasparenza amministrativa e ampiezza dei comportamenti “grigi”; – presenza diffusa di organizzazioni criminali organizzate con infiltrazioni nella Pa; – caduta del senso delle istituzioni e della coscienza civile e perdita di credibilità delle amministrazioni pubbliche, difficoltà di integrazione orizzontale e verticale. Accogliere la sfida significava attivare in contemporanea e in maniera diffusa e determinata le molteplici iniziative e attività di sostegno, necessarie per rimuovere tali criticità e capaci di stimolare, incoraggiare, coinvolgere e responsabilizzare la Calabria che si vuole riscattare e che è anche fatta da sindaci e assessori che nel 50% dei comuni della regione sono stati oggetto di centinaia di attentati. Ma fino ad ora è stato insufficiente l’impegno e inadeguato lo sforzo di costruire il sistema della pianificazione e della relativa filiera verticale e orizzontale dei rapporti tra piani e livelli amministrativi di governo territoriale, e i piani avviati, a livello provinciale e locale, rischiano di diventare strumenti inadeguati e inefficaci, proprio per gli aspetti più rilevanti di tutela delle risorse ambientali, difesa del suolo e mitigazione dei rischi, anche in quei comuni con amministrazioni che non sono state sciolte per mafia. Certamente grave è che sia mancato anche il supporto di quadri conoscitivi di pericolosità, vulnerabilità, esposizione e rischio che dovevano essere costruiti dando piena attuazione alla L.R. 35/96 e alla L.R. 4/97 e alla stessa L.R. 19/2002, che sia mancata la disponibilità di favorire i processi di concertazione tra dipartimenti a favore della cooperazione e della copianificazione, e che sia mancata, a causa di una comoda interpretazione della sussidiarietà e di una esasperata concezione formale ed estetica del paesaggio a discapito di quella scientifica oggettiva, una azione ferma, ispirata dalla concretezza dei bisogni, di affiancamento per l’affermazione dei principi e sostegno tecnico e finanziario adeguato da parte della Regione. Il rischio che anche questa diventi una legge manifesto esiste, ma tale eventualità, che rafforzerebbe un processo involutivo senza scampo, è assolutamente da scongiurare. Partendo da quanto di positivo è stato fatto, bisogna incrementare e intensificare gli impegni per l’attuazione della legge che resta un fatto irrinunciabile: i risultati che si otterranno con tali impegni costituiranno il migliore indicatore del buon governo. Con queste consapevolezze sono andato a seguire il dibattito sul dissesto idrogeologico, che si è tenuto in consiglio regionale in dicembre dello scorso anno. Ho trovato insoddisfacenti e deludenti gran parte degli interventi. Mi è parso che sia stata persa una buona occasione per evidenziare, a vantaggio dei calabresi e di chi è chiamato a governare la Regione, le “ lezioni apprese” dal sostanziale fallimento di un “Programma” che, cinque anni fa, in tema di tutela e valorizzazione dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio, di governo del rischio idraulico e geologico, di prevenzione del rischio sismico, aveva assunto rilevanti e significativi obiettivi strategici e individuato azioni per realizzarli, e che, in generale, aveva assunto i buoni propositi di rafforzare e sostenere il ruolo di indirizzo strategico della Regione e di porre rimedio alle insostenibili situazioni critiche che caratterizzavano il modello Calabria. Sorprendentemente, non ha avuto grande eco la denuncia e la richiesta di chiarimento su fatti, circostanze e disimpegni che hanno impedito di rispettare il “ Patto per il governo del territorio” e di “dare voce a ciò che inferno non è”, e che hanno rafforzato, nei luoghi istituzionali, che si presume non governati dalla mafia, disimpegno, irresponsabilità, inefficienza, parassitismo, furbizie, e, in definitiva, comportamenti che soffocano, ancor più di quanto non faccia la mafia, la speranza di un futuro diverso per la Calabria. Scopelliti ha esposto un piano straordinario per la rimozione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico, riconoscendone i limiti, ma ha anche fatto qualche coraggiosa denuncia e ribadito la sua forte determinazione di intraprendere percorsi virtuosi per la risoluzione dei problemi connessi al rischio idrogeologico, e, più in generale, della messa in sicurezza del territorio e dello sviluppo della regione. Ho percepito nell’intervento del governatore, segnali che lasciano ben sperare sulla possibilità della Calabria di uscire dal contesto “punitivo” in cui è stata collocata dalla moltitudine di Sisifo che l’hanno governata. Ma nella consapevolezza che le perduranti insostenibili situazioni sono macigni enormi da rimuovere e che potenti “forze negative” continueranno ad operare per mantenere poteri e privilegi, in una Calabria che si alimenta di sospetti e si ripiega su se stessa, sono convinto che il prospettato cambiamento sarà difficile da realizzare se la parte di società civile che ha ancora a cuore il bene comune, non sarà capace di fare sentire al nuovo governo regionale una incoraggiante, fiduciosa e responsabile partecipazione, senza rinunciare però alla vigilanza, dimostrando capacità di proporre e far valere progetti e obiettivi di tutela dei beni territoriali e ambientali e di messa in sicurezza del territorio, manifestando il proprio impegno ad erigere un argine al degrado e alla corruzione dilagante e affiancando più concretamente le istituzioni che a tali fini si adoperano, ma anche liberandosi dalla rassegnazione alla deriva delle istituzioni pubbliche, per diventare parte attiva nel sollecitare, pretendere e sostenere le azioni di buon governo. Ed è perciò forte e accorato l’auspico, che tantissimi “parroci”, come quello di Flaiano, decidano finalmente di impegnarsi con amore, fermezza e credibilità, e in piena gratuità, per infoltire la schiera dei cittadini disponibili a piantare il proprio alberello.

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