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UN “no” che invoca rispetto dei diritti contro un sì che si autoimpone senso di responsabilità: è tra questi due fuochi che dovranno scegliere, con il voto di oggi e domani, gli operai di Mirafiori. Un dilemma che chiama a riflettere e tiene legati alla stesso destino anche i metalmeccanici di tutti gli stabilimenti italiani del gruppo. E non solo. Perché alla vigilia del referendum per lo stabilimento di Torino si ha come la sensazione che Mirafiori non sia così lontana. Non solo perché l’accordo oggi al voto nello stabilimento piemontese presto potrebbe riguardare anche quello lucano. Ma anche perché è sempre più evidente che l’esito di questo referendum rivoluzionerà il futuro delle relazioni tra impresa, sindacati e lavoratori.

Per la Fiom Cgil, e per quella parte più radicale che all’accordo dice “no” senza se e senza ma, si tratta, dopo Pomigliano, del secondo e ultimo banco di prova. Lo sa bene anche il sindacato lucano che ieri ha dato appuntamento davanti ai cancelli della Fiat Sata di Melfi per spiegare ai lavoratori i motivi del “no”. Un voto che i metalmeccanici della Cgil giudicano come «un atto antisindacale, autoritario e antidemocratico senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali del nostro paese dal dopoguerra».

Il segretario della Fiom lucana , Emanuele De Nicola, alle tute blu di Melfi spiega: «Quello in corso è un attacco ai principi e ai valori della Costituzione italiana e alla democrazia».
«Così – continua – si calpesta la libertà dei lavoratori e delle lavoratrici di decidere a quale sindacato aderire per difendere collettivamente i propri diritti e di eleggere i propri rappresentanti in azienda. Chi non firma scompare e chi firma diventa un sindacato aziendale e corporativo guardiano delle scelte imposte dalla Fiat». Un ennesimo tassello di quel progetto che mira – secondo la Fiom – ad annullare il contratto nazionale di lavoro.

La Fiom è ferma sulla propria linea ma è sola; divisa sul da farsi, in caso di netta affermazione del “sì”, anche rispetto alla stessa Cgil. Ma il referendum di Mirafiori mette in crisi non solo il sindacato. Anche la politica è chiamata a una scelta netta e difficile. E pesa all’interno del Partito democratico nazionale l’assenza di una presa di posizione chiara e univoca. In Basilicata, dove il Pd è maggioranza, la questione è ancora più delicata, e le risposte non meno sibilline. I maggiori esponenti del partito regionale alla domanda secca se votare si o no preferiscono argomentare con analisi ben più generali.

Il presidente del consiglio regionale, Vincenzo Folino, a esempio, ritiene che la questione «non possa essere liquidata con una risposta così netta». A rompere gli indugi è il segretario regionale Roberto Speranza. «Io? – risponde – Voterei no, perché non credo nello scambio “meno diritti, più lavoro”. Ma a me, che sono qui, in ben altra posizione rispetto a quella di un operaio, la scelta che costa poco. Come si fa a mettersi nei panni di un operaio che sopravvive con meno di mille euro al mese e decidere cosa sia meglio?». Per il segretario regionale è il referendum in se stesso a essere «uno strumento assurdo». «Qualsiasi sarà il risultato – spiega ancora – sarà comunque una sconfitta. Non si può chiedere di scegliere tra due esigenze giuste quali sono la tutela dei diritti del lavoratore e l’aumento della produttività per difendere il lavoro stesso».

E’ dunque il metodo che è sbagliato. «La sfida dell’aumento della produttività – spiega ancora il segretario – è condivisibile, ma va perseguita con l’aumento del dialogo e non dello scontro». Per il governatore Vito De Filippo, invece, l’accelerazione imposta negli ultimi mesi dall’ad Marchionne alla “vertenza Fiat” è la prova più evidente di quanto pesi nel Paese la mancanza di una politica industriale degna di tale nome.

«L’amministratore delegato – spiega il presidente – davanti alla necessità di riformare il sistema si è scontrato con il vuoto della politica». Resta che – sottolinea ancora il presidente – non si può tornare indietro in fatto di tutele per i lavoratori. «Non condivido la linea radicale della Fiom – spiega ancora – Molto più responsabile mi sembra la posizione della segretaria Camusso». Un appello «a fare prevalere il senso di responsabilità» arriva invece dalla Uil lucana: «Il progetto Fabbrica Italia – è l’analisi di Vaccaro e Tortorelli – è ancora più attuale ed importante a Melfi perché se dovesse essere messo in discussione salterebbe ogni programma del campus tecnologico o nella più ottimistica delle ipotesi sarebbe destinato ad un drastico ridimensionamento, magari limitandosi a studiare nuovi pezzi per l’auto».

Mariateresa Labanca

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